Le virtù cardinali e la prudenza

126539di Gianni Cioli • Che cos’è una virtù? I filosofi e teologi medievali, come ad esempio san Tommaso d’Aquino, rispondevano che la virtù è un abito operativo buono, ovvero una disposizione interiore stabile che ci orienta a fare il bene con facilità e volentieri. Il vizio, al contrario è un abito operativo cattivo, che ci orienta a fare, con facilità e volentieri, il male. Le virtù, secondo questi autori, perfezionano le nostre facoltà, come l’intelletto e la volontà, disponendoci a riconoscere ciò che è buono e a volerlo con fermezza. Esse ci portano a fare la cosa giusta, aiutandoci a distinguere ciò che giusto con chiarezza, facendocelo desiderare con tutto il cuore, sostenendoci di fronte agli ostacoli e alle paure, e moderando la nostra istintiva attrazione per ciò che è piacevole affinché non deviamo facilmente dal sentiero del bene.

Le virtù, sostenevano i medievali, si possono acquisire con l’esercizio, ovvero con la ripetizione degli atti buoni, ma alla fine, nella loro compiutezza, esse sono essenzialmente un dono di Dio. Per questo motivo, per raggiungere appieno il loro obiettivo, le virtù cardinali – chiamate così perché intorno ad esse ruotano tutte le altre virtù morali – devono radicarsi nelle teologali, ovvero nella fede, nella speranza e, soprattutto, nella carità.

I filosofi antichi e i teologi medievali ritenevano, fra l’altro, che le virtù dovessero essere considerate, nel loro insieme, una sorta di organismo, ovvero sostenevano che ogni singola virtù, per funzionare, debba lavorare in sinergia con tutte le altre.