Trascendenza e persona, la sfida di Papa Francesco.

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Elia Carrai In due recenti interventi il Pontefice, rivolgendosi a due contesti culturalmente impegnati come quello dell’Università degli Studi di Roma Tre e la comunità scientifica dei Gesuiti che lavora alla Civiltà cattolica, è tornato delineare con toni decisi il momento storico attuale; un tempo col cui travaglio l’umanità e con essa in modo decisivo la Chiesa si trovano oggi a dover fare i conti. Così, rivolgendosi alla comunità accademica di Roma Tre, Francesco ha sottolineato quanto sia «importante leggere questo cambiamento d’epoca con riflessione e discernimento, cioè senza pregiudizi ideologici, senza paure o fughe. Ogni cambiamento, anche quello attuale, è un passaggio che porta con sé difficoltà, fatiche e sofferenze, ma porta anche nuovi orizzonti di bene» (DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALL’UNIVERSITÀ ROMA TRE, 17 febbraio 2017). E ai Gesuiti: «La crisi è globale, e quindi è necessario rivolgere il nostro sguardo alle convinzioni culturali dominanti e ai criteri tramite i quali le persone ritengono che qualcosa sia bono o cattivo, desiderabile o no»(DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALLA COMUNITÀ DE “LA CIVILTÀ CATTOLICA”, 9 febbraio 2017). Secondo il Papa, nel contesto in cui siamo immersi, ciò che è decisivo è poter comprendere in base a cosa e secondo quali criteri l’uomo si orienta oggi all’interno delle scelte della vita. Occorre, cioè, penetrare la cultura attuale senza soffermarci esclusivamente ad una sua critica superficiale, cogliendone, piuttosto, quei dinamismi che portano l’uomo di oggi a tante scelte e tanti passi contraddittori quanto rischiosi. Così, prendendo spunto dal complesso mondo dei social network, il Papa ha sottolineato la necessità di «interrogarsi su ciò che è buono, facendo riferimento ai valori propri di una visione dell’uomo e del mondo, una visione della persona in tutte le sue dimensioni, sopratutto quella trascendente». Alla complessità del contesto presente occorre far fronte senza censurare nessuna delle dimensioni costitutive la persona, senza accettare una comprensione semplicistica e ridotta di quest’ultima. La persona deve piuttosto ritrovare la sua collocazione reale nell’esercizio di un pensiero da cui neo-idealismi e neo-materialismi tentano, ancora una volta, di estrometterla. Oggi più che mai, ha così sottolineato il Pontefice, è decisivo «recuperare il valore centrale della persona umana»: solo questo può consentire un adeguato discernimento circa quei criteri orientativi che agiscono in profondità nell’uomo, quei criteri per i quali qualcosa è desiderabile e qualcosa non lo è. Occorre, pertanto, assumersi l’impegno di discernere cosa muove intimamente l’uomo, interpretarne e decifrarne i bisogni profondi che oggi lo animano e lo agitano e cosa può chiarire tali bisogni e a quali distorsioni essi siano sottoposti: solo immergendosi a questo livello della questione sarà possibile affrontare il tempo presente in un dialogo reale con ogni uomo, senza preclusioni, mettendo al centro cosa lo animi in profondità, cosa egli, sotto tante superficialità, cerchi e desideri. Per questo «Il pensiero della Chiesa deve recuperare genialità e capire sempre meglio come lʼuomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento». In un contesto sociale in cui la valutazione morale cede sempre più il posto ad un moralismo a posteriori, in definitiva un sistema di valutazione/misura, è più che mai decisivo recuperare la coscienza di come la moralità giochi un ruolo chiave proprio laddove l’uomo orienta intimamente la sua volontà, laddove -per riprendere Agostino- l’uomo come essere coincide col suo volere. In tal senso il non trascurare la centralità e della realtà personale nel suo “volume totale” (E. Mounier) coincide con il primo vero atto morale per ogni intrapresa conoscitiva e tentativo di azione. Il Papa non impone, quindi, un programma metafisico compiuto e, parlando ai Gesuiti, indica nell’incompletezza del pensiero il segno di una reale necessaria apertura al trascendente: «Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. Per questo dovete essere scrittori e giornalisti dal pensiero incompleto, cioè aperto e non chiuso e rigido. La vostra fede apra il vostro pensiero». Solo una consapevolezza reale della dignità trascendente dell’uomo libera la ragione da quelle paure che portano alla chiusura sistematizzante su piano intellettuale e alla coercizione, finanche violenta, su quello della prassi: «Proprio a partire dalla necessità di un’apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento»(DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AL PARLAMENTO EUROPEO, Strasburgo, 25 novembre 2014). Ci si chiede allora come si introduca nella storia universale e personale questa possibilità di abbracciare il trascendente, con tutto l’allargamento e spalancamento di coscienza che implica; con la conseguente messa in crisi di tutti i “sistemi di quiete”. Non è una trascendenza pensata, quella di cui scrive il Papa agli studenti di Roma Tre, è una trascendenza incontrata: «[…] la trascendenza alla quale mi apro e guardo ha un nome: Gesù. […] una Persona che mi è venuta incontro, quando avevo più o meno la vostra età, mi ha aperto orizzonti e mi ha cambiato la vita. Questa Persona può riempire il nostro cuore di gioia e la nostra vita di significato». La trascendenza stessa è “trascendenza personale”: solamente l’incontro con una Persona in cui la pienezza di quella dignità trascendente risplende può introdurre un’ipotesi realmente nuova sulla scena del mondo e del vivere personale. Seguendo così il Pontefice cogliamo l’attualità, profetica per i nostri tempi, del Vaticano II: «Cristo […], proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes, 22). Dove il rapporto col mistero del Padre ci dice proprio il cuore di quella trascendenza e di quella dignità che Cristo, con la sua presenza, rivela ad ogni uomo. Cogliamo così una profonda sintonia tra la sfida di Francesco e quella del suo predecessore ad una razionalità che rischia di soffocare nelle proprie chiusure; i cui propri limiti non divengono occasione decisiva di apertura ad altro da sé. È il richiamo non tanto ad allargare la ragione, quanto a lasciare che questa venga allargata dall’incontro Cristo; un invito a non rimanere in balia dei poteri del momento riscoprendo la profondità e vastità del proprio bisogno personale: «non abbiate paura di aprirvi allʼincontro con Cristo e di approfondire il rapporto con Lui. La fede non limita mai lʼambito della ragione, ma lo apre a una visione integrale dellʼuomo e della realtà, preservando dal pericolo di ridurre la persona a “materiale umano”. Con Gesù le difficoltà non spariscono, ma si affrontano in modo diverso, senza paura, senza mentire a sé stessi e agli altri; si affrontano con la luce e la forza che viene da Lui». L’esito di una simile apertura del pensare è un modo nuovo di affrontare la realtà, non vengono meno le contraddizioni della vita quotidiana e, tuttavia, all’uomo è possibile sperimentare una liberazione reale. I problemi non definiscono la persona quanto, piuttosto, ne rivelano l’intima irriducibilità: quella dignità trascendente, come la chiama il Papa, grazie alla quale è possibile per ogni uomo anche nella peggiore delle circostanze «fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di distinguere il bene dal male, a quella “bussola” inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato». Questa è la strada che permette di non “scappare” dal rapporto con la realtà complessa del momento presente. Quello a cui invita così il Pontefice è «vivere il confronto “tra le esigenze brucianti dellʼuomo e il perenne messaggio del Vangelo”(Paolo VI)».

 

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