Si è detto (tutto) nella carne. Teologia e neuroscienze di L. Paris

323 500 Dario Chiapetti
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maxresdefaultdi Dario Chiapetti Il «tentativo» compiuto da Leonardo Paris nel suo Teologia e neuroscienze. Una sfida possibile (Queriniana, Brescia 2017, 334 pp.) – che in quanto tale comporta inevitabilmente «l’esporsi al rischio del fallimento» – ben si inquadra nelle declinazioni dell’invito di papa Francesco a far sì che la paura di sbagliare non superi quella di rinchiudersi in strutture che danno falsa protezione quando fuori c’è gente affamata (cf. Evangelii Gaudium 49). Di cosa? Di una comprensione credibile della realtà, di condizioni dignitose di vita, e certo, di Dio. Cristo «svela l’uomo all’uomo» (cf. Gaudium et Spes 22) mostrando ed esaltando, come l’immagine evangelica del «sale» evoca, le proprietà dell’altro, non misconoscendole o combattendole. Questo “altro” è la realtà creata con i suoi dinamismi, e i saperi con i propri statuti epistemologici. Occorre allora comprendere la relazione con questo “altro”, colta nel suo aspetto dinamico-storico per non rischiare «di farsi male e fare male». Il muro cartesiano tra scienza e teologia è rotto e quindi «scavalcarlo non ha senso». Il «mondo riunificato» spinge la teologia e la scienza a incontrarsi, non più però in modo interdisciplinare – un medesimo oggetto è spiegato dalla scienza secondo il suo proprio punto di vista, ad esempio, l’aspetto materico, e dalla teologia secondo il suo, quello spirituale; la teologia interviene laddove c’è «il buio» per la scienza e loda quest’ultima laddove c’è «la piena luce» per entrambe – ma in modo transdisciplinare – secondo la presa in considerazione dell’unitaria «complessità dei sistemi» che reimposti dal punto di vista epistemologico gli statuti di entrambe e permetta l’approfondimento della comprensione dei loro oggetti. Ora, un ambito particolare della scienza che sempre più pretende di dire, «in modo talvolta aggressivo», qualcosa alla teologia, e viceversa, è quello delle neuroscienze. Paris tenta l’operazione di considerare le prospettive di questi due saperi, segno di fiducia verso le capacità conoscitive di entrambi. Tale tentativo nasce dalla presa in considerazione dell’urgenza di quello che l’Autore ritiene essere il mutamento del paradigma conoscitivo, e ancor di più esistenziale, dell’uomo contemporaneo. Per l’uomo di oggi, di fatto, Dio è per lo più non indispensabile e quasi mai nemico. L’uomo starebbe meglio con Dio? Ne sono fermamente convinto. Ma allora: o il cristiano presenta agli uomini una risposta a una domanda inesistente, o cerca di far sorgere in questi le domande, oppure, più semplicemente, accoglie come una benedizione il passaggio dello schema «uomo/domanda-Dio/risposta» a quello, se vogliamo più biblico, «Dio/proposta-uomo/risposta» e cerca di comprendere meglio e Dio e l’uomo e la loro relazione.

L’uomo di oggi dice che Dio è assente, non necessario e non presente evidentemente nella creazione. Tra le varie prospettive neuroscientifiche, la materialista non determinista sembra per Paris quella che pone la sfida «intellettualmente più interessante, esistenzialmente più urgente e teologicamente più problematica». Ecco le domande cruciali e poco considerate sulle quali occorre riflettere: se l’uomo, mettiamo il caso, fosse costituito solo da materiale biologico e anche il suo spirito, la sua anima, la sua libertà, la sua coscienza, fossero frutti di meccanismi neuronali, ciò non avrebbe nessun “alto” significato teologico? Non ci direbbe ciò nulla “di grande” su Dio e sull’uomo? Ciò che dice la scienza è così in contraddizione con una riflessione teologica? Se sì, che valore dare agli enunciati teologici? Cosa chiedere alle persone che guardano alla “terra” e non sono conquistate da un Dio che ha la pretesa di darsi in essa ma di non dirsi tutto in essa? La carne è mero strumento del dirsi di Dio, magari anche estraneo ad esso? Non è più radicalmente suo proprio contenuto?

Delle nozioni prese in esame dalla teologia di anima, coscienza e libertà, la prospettiva materiale-sistemica coglie, da un lato, il loro fondamento biologico, dall’altro, l’interpersonalità del modo del loro funzionamento. È così che l’Autore ripensa i suddetti concetti offrendone una comprensione che nulla toglie alla dignità e potenzialità e di Dio e dell’uomo e del creato.

Autonomia e relazione. Paris passa a mostrare che la lettura profondamente teologica della Scrittura operata dalla Tradizione mostra che le suddette nozioni dicono il mistero dell’incarnazione e, ancor di più, della vita intratrinitaria.

In Cristo è possibile distinguere due espressioni della sua libertà e autonomia in relazione al Padre. Prima della croce, caratterizzata dal chiedere-avere. Nell’evento della croce, nell’autonomia adulta. Al Figlio è data l’occasione dal Padre di autocostituirsi liberamente in relazione a lui, nell’autonomia dovuta alla sua assenza, e così sperimentare nella biologicità della carne la sua figliolanza divina, così come ci è attestato dal fatto che tale aspetto fu colto proprio dal pagano centurione (cf. Mc 15,39). È tale autonomia adulta del Figlio per il quale Dio è assente che crea quello spazio di fraternità solidale con l’uomo per il quale Dio è assente, e quindi quello spazio di libertà accessibile alla relazione di figliolanza nei confronti di un Padre caratterizzato da quella che Piero Coda ha definito una «paternità non paternalistica».

Le Persone Divine sussistono nella libertà, e quindi nella non necessità, mossa da stupore e desiderio del reciproco volersi dare, ricevere, auto-costituirsi in relazione alle altre e dirsi all’altro mediatamente in un terzo distinto, «espressione della libertà divina […] nell’affermazione della pluralità delle relazioni». È tale evento di libertà che fonda e forma il suo analogo sul piano creazionale con le implicazioni capitali per cui: «Dio ci dona alle nostre relazioni, alla nostra libertà», «Dio si dona alle nostre relazioni, alla nostra libertà», «Dio ci dona nelle sue relazioni, nella sua libertà».

L’osservazione dell’autonomia dell’umano e libertà adulta del Cristo, da un lato, e la relazionalità costitutiva della libertà e relazionalità trinitaria, dall’altro, tenta di mostrare alle neuroscienze e alla teologia come la sfida di riflettere l’una nell’altra, non solo sia possibile ma ne accresca la dignità epistemologica, e pertanto sia doverosa nei confronti di quel Dio libero e uomo libero che, non nell’autonomia dal rapporto tra loro ma nell’autonomia nel rapporto tra loro possono incontrarsi, scegliersi e unirsi ancora oggi, soprattutto oggi, nell’epoca del disincanto costruttivo.

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Dario Chiapetti

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