«Ti sei rivelato a noi e non al mondo?»
di Stefano Tarocchi • La VI domenica del Tempo Pasquale introduce il testo del Vangelo di Giovanni – peraltro omessa dal libro liturgico – con la domanda dell’apostolo Giuda (si noti, «non l’Iscariota»), che si rivolge a Gesù: «come mai ti sei rivelato a noi e non al mondo?».
La stessa presenza del Cristo, come Verbo, era già definita in questo modo: «veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Oppure: «la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvage» (Gv 3,19).
Del resto anche la prima lettera di Giovanni scrive: «Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato» (1 Gv 1,5-7).
Non è un caso che il tema del «mondo» dòmini la scena nel Quarto Vangelo, il Vangelo di Giovanni, non fosse altro che numericamente, per le sue settantotto ricorrenze (!) sulle cent’ottantasei dell’intero Nuovo Testamento. Potremmo aggiungerne anche trenta, nelle prime due lettere dello stesso Giovanni.
Qui tenterò di riprendere una parte dei testi in questione per definire una immagine della potenza divina che non viene sopraffatta dalle tenebre, la condizione negativa dell’umanità in quanto opposta a Dio: «la luce splende nelle tenebre» e tuttavia «le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). Che è come dire che il Cristo si è rivelato davanti alla condizione umana, che lo respinge ma non è capace di sconfiggerlo.
La totale opposizione tra il «mondo» e il Padre è espressa quindi con estrema chiarezza: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,16-17). Ma il Vangelo dice di più: Dio ha amato quella realtà (il «mondo») che lo ha rifiutato, lasciando aperto la strada a quanti si sono posti in una posizione diametralmente opposta: non di rifiuto ma di ascolto, di accoglienza.
A quel mondo che si oppone a Dio, questi offre un’altra strada, come emerge dalle parole con cui il Battista annuncia Gesù: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29). Si parla proprio al singolare («il peccato»), perché esso riassume ogni altra colpa. Anche la prima lettera dell’apostolo Giovanni precisa: «in questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10).
In conclusione potremmo chiosare con le stesse parole del Vangelo, nella sua conclusione definitiva: «Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21,25). La potenza del Cristo, che ha vinto la sua opposizione radicale nella sua gloria, cioè la passione e la risurrezione, riduce il mondo, stavolta in senso neutro, a semplice contenitore delle sue parole.