di Stefano Tarocchi • La VI domenica del Tempo Pasquale introduce il testo del Vangelo di Giovanni – peraltro omessa dal libro liturgico – con la domanda dell’apostolo Giuda (si noti, «non l’Iscariota»), che si rivolge a Gesù: «come mai ti sei rivelato a noi e non al mondo?».
È noto l’autorivelazione del Cristo è definita nel Vangelo di Giovanni come luce: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12) e «Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre (Gv 12,46). Si riprende il medesimo tema quando il Vangelo dice: «Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo» (Gv 9,5).
La stessa presenza del Cristo, come Verbo, era già definita in questo modo: «veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Oppure: «la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvage» (Gv 3,19).
Del resto anche la prima lettera di Giovanni scrive: «Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato» (1 Gv 1,5-7).
Tuttavia, nel momento in cui sta per arrivare la sua passione, quella che il Vangelo chiama “glorificazione”, la rivelazione del Cristo avviene solo davanti ai discepoli e non più al «mondo». In sostanza si potrebbe sostenere che il «mondo», creato da Dio per mezzo del Verbo, si è ribellato in maniera radicale a Dio e al suo Figlio, il Verbo che «era nel mondo». «Il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto» (Gv 1,10). Ma lo stesso Verbo «a quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,12-13).
Non è un caso che il tema del «mondo» dòmini la scena nel Quarto Vangelo, il Vangelo di Giovanni, non fosse altro che numericamente, per le sue settantotto ricorrenze (!) sulle cent’ottantasei dell’intero Nuovo Testamento. Potremmo aggiungerne anche trenta, nelle prime due lettere dello stesso Giovanni.
Qui tenterò di riprendere una parte dei testi in questione per definire una immagine della potenza divina che non viene sopraffatta dalle tenebre, la condizione negativa dell’umanità in quanto opposta a Dio: «la luce splende nelle tenebre» e tuttavia «le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). Che è come dire che il Cristo si è rivelato davanti alla condizione umana, che lo respinge ma non è capace di sconfiggerlo.
La totale opposizione tra il «mondo» e il Padre è espressa quindi con estrema chiarezza: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,16-17). Ma il Vangelo dice di più: Dio ha amato quella realtà (il «mondo») che lo ha rifiutato, lasciando aperto la strada a quanti si sono posti in una posizione diametralmente opposta: non di rifiuto ma di ascolto, di accoglienza.
A quel mondo che si oppone a Dio, questi offre un’altra strada, come emerge dalle parole con cui il Battista annuncia Gesù: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29). Si parla proprio al singolare («il peccato»), perché esso riassume ogni altra colpa. Anche la prima lettera dell’apostolo Giovanni precisa: «in questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10).
E non è un’opposizione formale tra Dio e quanti gli si oppongono, se Gesù dice ai discepoli «il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di esso io attesto che le sue opere sono cattive» (Gv 7,7; letteralmente: «maligne», come il nemico di Dio e delle sue creature), mostrando qui una nuova declinazione della sua missione di luce. Questo si dice con chiarezza anche nella guarigione dell’uomo cieco: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi» (Gv 9,39).
Perciò i discepoli devono sapere che «se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv 15,18-19). E più avanti Gesù aggiunge: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in sé stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17,6.9.11.13).
Nella stessa preghiera che Gesù pronuncia avanti la sua passione, mentre si trova ancora con i discepoli egli dice: «Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; [prego] perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato» (Gv 17,5.14-16.18.21.23-25).
Pertanto il «mondo», che è stato oggetto dell’amore di Dio e del Cristo, una volta che ha scelto definitivamente la sua strada non può più cambiare il proprio cammino; perciò il Cristo, da un certo momento in poi della sua missione, prega per i discepoli e non più per coloro che si sono radicalmente autoesclusi dalla salvezza. Ne è conferma il fatto che in precedenza il vangelo dice di Gesù: «non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47). Per questo aggiungerà ai discepoli: «Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).
In conclusione potremmo chiosare con le stesse parole del Vangelo, nella sua conclusione definitiva: «Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21,25). La potenza del Cristo, che ha vinto la sua opposizione radicale nella sua gloria, cioè la passione e la risurrezione, riduce il mondo, stavolta in senso neutro, a semplice contenitore delle sue parole.