L’apporto dell’antropologia alla sacramentaria: la riflessione di W. Kasper

350 499 Dario Chiapetti
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cardinal-walter-kasper-di Dario Chiapetti La storia del pensiero ha percorso nel corso dei secoli un grande cammino: dall’uomo del mito si è passati a quello della metafisica per giungere all’uomo della tecnica e, infine, del disincanto. Si è messa così in discussione la fede e ciò che, in modo particolare, la veicola: la dottrina e la prassi sacramentale.

È da tale osservazione che Walter Kasper, nel suo recente La liturgia della Chiesa, ha compiuto una riflessione e che qui riprendiamo nei suoi capi principali. Essa, in particolare, mira a rendere «nuovamente accessibile il mondo dei sacramenti all’uomo di oggi, partendo dai fondamenti dell’antropologia moderna». Tale obbiettivo è perseguito mediante la trattazione dei due concetti, e la loro relazione, che costituiscono il quid del sacramento: il simbolo e la parola.

Superata la concezione dualistica dell’uomo secondo la quale l’anima costituisce il nous del soggetto e il corpo un mero strumento che permette ad esso di relazionarsi col mondo, si è giunti a quella comprensione della persona umana come quella soggettività che si autocomprende a partire dal mondo, e del mondo che, a sua volta, è ciò che, pur essendo altro da essa, è totalmente riferito ad essa e che in tale riferimento trova il suo profondo significato. Il corpo umano risulta il “simbolo fondamentale”, «quel “tra” nel quale – scrive Kasper – l’essere umano è se stesso, nel quale egli è presso il mondo e nel quale il mondo è totalmente e radicalmente presso l’essere umano». Dato che il corpo è realtà vivente, esso si evolve e non è mai posto in situazioni storicamente e culturalmente indeterminate. I simboli risultano essere quelle “situazioni umane e primordiali” della vita umana in cui l’uomo e il mondo si sperimentano come domande aperte e trascendenti, e il linguaggio ciò che si pone in relazione dialettica, pericoretica, col simbolo: «situazione e linguaggio, simbolo e parola, sono inscindibilmente in rapporto tra di loro». La parola nasce dalla situazione e, allo stesso tempo, crea la situazione (quando offre quella data interpretazione che conferisce senso a quel particolare momento). Kasper prosegue osservando che i “simboli primari” sono sempre accompagnati da “simboli secondari”, i quali però sono sempre storicamente mutevoli. Per questo non è corretto parlare di crisi del pensiero simbolico quanto di “ristrutturazione” del mondo simbolico: occorre constatare l’incapacità di significazione propria dei simboli secondari nei confronti dell’uomo di oggi e riflettere su come superare questo empasse.

Fornita una tale fondazione antropologica del sacramento, Kasper mostra, evidenziandone le implicazioni, la connessione di quest’ultima con quella cristologica.

«Ogni nuova riflessione su parola e sacramento – scandisce il teologo – deve partire da Gesù». Cristo è il “sacramento primordiale” (Ursakrament), la parola e il segno decisivo di Dio per il mondo: ciò trova il suo fondamento non nei segni e nelle parole che egli ha operato e pronunciato, ma nella sua obbedienza al Padre e nel suo farsi servo per gli uomini. È in questo orizzonte che trovano senso e valore i segni dati e le parole espresse verbalmente. Se l’unità tra parola e simbolo costituisce una dimensione antropologica, Gesù, entrando in tale unità e assumendola in virtù dell’incarnazione, la qualifica in modo nuovo: «per mezzo di Gesù Cristo – osserva Kasper – le situazioni umane fondamentali diventano in modo inequivocabile il kairós, il momento della grazia di Dio per l’uomo».

Sulla base dell’evidenziazione dell’unità tra parola e sacramento, vengono individuate alcune conseguenze pastorali che solo accenniamo.

I due termini suddetti devono essere considerati: all’interno dell’intera storia di salvezza, come strumenti (e non oggetti) della salvezza, essere vissuti nella fede e ad essa portare; nella loro unità interna che li rende inscindibili l’uno dall’altro, caratterizzati da una «pericoresi vicendevole»; in modo tale che il loro sviluppo e quello della loro relazione non sia mai stabilito una volta per tutte. È per questo motivo che – conclude Kasper – il ministero salvifico che la Chiesa compie nella parola e nel sacramento dovrà essere più “semplice e fondamentale” (tener conto della hierarchia veritatum), “umano” (tener conto del propter homines e della salus animarum come principi della suprema Lex) e “consapevole” (mettere in luce la dimensione penitenziale, di servizio e di rendimento di grazie come lo specifico della vita cristiana).

Tale riflessione si presenta come un effettivo tentativo di pensare teologicamente nella prospettiva in cui recentemente Papa Francesco ci ha invitati a collocarci: «La dottrina non è un sistema chiuso, privo di dinamiche capaci di generare domande, dubbi, interrogativi […] ha corpo, ha carne, si chiama Gesù». E buoni stimoli sono offerti al cammino specifico del pensare la dimensione sacramentaria, in ordine alla comprensione dei suoi aspetti, cólti sempre maggiormente nell’unità con le altre dimensioni della realtà e del pensiero.

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Dario Chiapetti

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