Famiglia e natura divina nell’«Amoris laetitia»
di Alessandro Clemenzia • Si preferisce, in teologia, evitare il parallelismo fra Trinità e famiglia, soprattutto per non giungere a un’affrettata conclusione che applicherebbe il ruolo di padre, madre e figlio/a alle funzioni delle tre Persone divine. Ciò nonostante rimane aperta una domanda: la famiglia ha ancora da dire qualcosa sulla trinità di Dio? E la Trinità, oltre a svolgere la funzione di modello etico, cosa dice di sé mettendosi in relazione all’ovvio scorrere quotidiano della vita in una famiglia? Per rispondere a queste domande, ho cercato nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia i lemmi “Trinità”, “trinitario” e “trinitaria” in riferimento alla famiglia. Più che esporre ogni singolo riferimento, metterò in luce i diversi significati riscontrati in questo parallelismo.
In primo luogo, il rapporto fra Trinità e famiglia è all’insegna della fecondità. Papa Francesco introduce questo aspetto sin dal n. 10 dell’Esortazione, a cominciare dall’evento più sorprendente della Creazione, dove l’immagine di Dio «ha come parallelo esplicativo proprio la coppia “maschio e femmina”». In essa viene spiegato che tale affermazione non vuole applicare a Dio differenziazioni sessuali, ma fonda il legame tra divino e umano sulla fecondità della coppia, tanto da divenire «“immagine” viva ed efficace, segno visibile dell’atto creatore». Proprio nell’amare e nel generare la vita, la coppia «è la vera “scultura” vivente […], capace di manifestare il Dio creatore e salvatore. Perciò l’amore fecondo viene ad essere il simbolo delle realtà intime di Dio». E conclude: «In questa luce, la relazione feconda della coppia diventa un’immagine per scoprire e descrivere il mistero di Dio, fondamentale nella visione cristiana della Trinità che contempla in Dio il Padre, il Figlio e lo Spirito d’amore. Il Dio Trinità è comunione d’amore, e la famiglia è il suo riflesso vivente». Essendo l’amore fecondo la realtà che più di ogni altra caratterizza l’essenza divina, si arriva ad affermare che «la famiglia non è dunque qualcosa di estraneo alla stessa essenza divina». E ciò si manifesta in un’inquietudine dell’uomo che gli fa cercare «“un aiuto che gli corrisponda” (vv. 18.20), capace di risolvere quella solitudine che lo disturba e che non è placata dalla vicinanza degli animali e di tutto il creato» (n. 12). La creatura cerca nell’altro/a una relazione frontale che rifletta quell’amore divino di cui è impregnata.
Proprio in forza di questo rapporto con la vita divina, la famiglia umana non deve mai sentirsi «una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare. C’è una chiamata costante che proviene dalla comunione piena della Trinità» (n. 325).