di Francesco Romano • Attraverso la ragione l’uomo percepisce secondo il diritto di natura di essere legge “per se stesso”. La natura è norma di comportamento a livello di soggettività e oggettività giuridica. La rettitudine e l’onestà nell’agire sono espressione del rispetto dovuto agli altri. E’ la ragione che comanda ciò che si deve o non si deve fare nella costruzione sociale della convivenza umana fino a comprendere con Seneca che tutti gli uomini in forza della natura sono fratelli e devono amarsi anziché uccidersi per divertimento o gioco, “homo, sacra res homini, iam per lusum ac iocum occiditur” (Epistulae ad Lucilium, XV, 3 (95).
Il diritto romano conosceva a suo fondamento la regola espressa da Ulpiano: “Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, uniquique suum tribuere”, mentre il concetto di giustizia si esprimeva nella formula “Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi”
Quindi, all’origine del diritto di natura c’è la ragione dell’uomo che lo accomuna agli dei e gli comanda ciò che deve fare e ciò che non deve fare. Per Seneca l’uomo è orientato al bene per la presenza della divinità che è in lui: “Prope est a te deus, intus est […] sacer intra nos spiritus sedet, malorum bonorumque nostrorum observator et custos” (Ibid, 4, 12 [41]). Nella loro stessa natura gli uomini trovano scritta la legge di “non recarsi danno tra loro”, di “vivere onestamente” e di “onorare il diritto altrui”. Anche San Paolo riconosce che i pagani per natura agiscono secondo la legge perché, pur non avendo la Legge mosaica, sono legge a se stessi dimostrando che quanto la legge esige è inscritto nei loro cuori (Rm 2, 12-15).
S. Agostino, a proposito della costituzionalità del diritto divino, afferma che Dio nell’atto creativo dell’uomo ha inscritto nel fondo del suo cuore: “non fare agli altri quello che tu non vorresti che gli altri facessero a te”, nessuno può ignorare questo precetto “iudicis tribunal est in mente tua, sedet ibi Deus, adest accusatrix conscientia, tortor timor” (Enarratio in Ps. 57, 1).
Il passo evangelico di Mt 7, 12 “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” – con i corrispettivi nella legge mosaica in Lv 19, 18 “Amerai il tuo prossimo come te stesso” che giuridicamente in Tb 4, 15 si traduce nel “Non fare a nessuno ciò che non piace a te” – capovolge la prospettiva della virtù della giustizia che veniva riassunta nella formula “non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te”. Quindi il prossimo diventa legge per l’uomo, cioè non sono più le mie esigenze, ma quelle del mio prossimo, il criterio di valutazione dei bisogni altrui.
L’uomo non è legge a se stesso al contrario di quanto affermava Aristotele nell’Ethica Nicomachea “Homo igitur politus et ingenuus sic erit affectus, quippe qui ipse sibi lex sit” (lib.4, 8, 10) , bensì è il prossimo che diventa legge per l’uomo in quanto figlio di Dio creato a sua immagine e somiglianza. La persona come tale è degna di essere definita “homo juridicus” essendo creata a sua immagine e somiglianza e posta al centro dell’universo giuridico così come Dio l’ha voluta. Nelle relazioni interpersonali la misura dell’agire dell’uomo giusto è dato dalla conformità alla legge eterna la cui comprensione e approfondimento non scaturiscono dalla sola intelligenza del singolo, ma anche dall’umana solidarietà.
Pertanto, l’obbligatorietà della legge evangelica che considera il prossimo quale legge per l’uomo a compimento di tutta la Legge e i Profeti, ha come fondamento il momento della creazione in cui il Creatore la inserisce nella natura dell’uomo e la rende coattiva e allo stesso tempo l’uomo creato a sua immagine e somiglianza esce da se stesso ed è reso capace di stabilire relazioni andando incontro ai suoi simili. Per questo la condizione originaria dell’uomo lo rende persona in senso giuridico secondo le relazioni che gli è concesso di stabilire con Dio e con il prossimo. La sua identità di persona in senso giuridico che gli deriva dal battesimo e lo incorpora nella Chiesa di Cristo (can. 96), diventa un completamento della persona già costituita secondo l’ordine creaturale. La Legge evangelica segna il coronamento della Legge mosaica nell’esigenza di vivere l’alterità umana passando dal “non fare agli altri” all’apertura verso gli altri: “anche voi fatelo a loro”. In questo senso sia l’ordine della natura che l’ordine della grazia fanno riferimento a Dio e intercettano qualsiasi creatura umana, come tale, nella sua fondamentale uguaglianza giuridica, in quanto creatura di Dio, e la pongono al centro di ogni costruzione giuridica.
L’ordine della natura e l’ordine della grazia trovano poi l’una il perfezionamento nell’altra. Lo stesso progresso deve essere riconosciuto al precetto evangelico dell’amore che pone il prossimo come legge per l’uomo a coronamento di tutta la Legge e i Profeti e introduce la carità quale principio sociale assoluto che ci spinge a uscire da noi stessi e a renderci reciprocamente portatori dei pesi di ciascuno. Il prossimo diventa non un fardello, bensì nostro fratello e la carità elemento di coesione sociale. Il corrispettivo giuridico di amare il prossimo come se stessi corrisponde al precetto di fare agli altri ciò che vogliamo che sia fatto a noi stessi. Questa legge l’uomo la scopre nella sua stessa natura che si manifesta nell’alterità della sua identità di homo juridicus, con la sua fondamentale uguaglianza giuridica. La prima dimensione giuridica dell’uomo in quanto persona è data dalla capacità di entrare in relazione con il prossimo e con Dio, come Egli ha stabilito nel disegno della creazione. Il precetto di fare agli altri ciò che vogliamo che sia fatto a noi stessi diventa la condizione per amare totalmente Dio e il prossimo
Per S. Agostino: «la legge della libertà è legge di carità» per questo dove si ama non esiste nessuna forma di servitù. Il diritto tutela l’uguaglianza e la libertà dell’uomo, la carità instaura una fraternità che è somma uguaglianza e somma libertà. L’amore sociale promuove la giustizia, rafforzando il rispetto per la persona e salvaguardando i valori autentici dei popoli e delle nazioni. Principio di questo amore sociale è l’ideale dell’amore che si trova in Cristo stesso, come ne testimoniano gli evangeli.
Carità e giustizia non si contrappongono, ma si integrano a vicenda. L’amore verso il prossimo si concretizza prima di tutto nel fargli giustizia e nel rispettare i suoi diritti. La carità è il coronamento del diritto e la conoscenza dei veri bisogni altrui come insegna San Paolo: «la carità rifiuta l’ingiustizia, ma si compiace della verità». Nessun diritto può essere negato in nome della carità. Chi vuol essere caritatevole, prima di tutto deve essere giusto. Principio della carità è ciò che il Signore chiama «fame e sete di giustizia».
La carità fa progredire la giustizia perché quando scopre il prossimo che ha reali bisogni, lo soccorre pur senza che questi abbia alcun diritto da reclamare, come insegna la parabola del “buon Samaritano”. La carità, tuttavia, non è un modo per rimediare all’ingiustizia né una giustificazione per dispensare dalla giustizia, ma la contiene come sua espressione prima e come suo momento essenziale. Prima di insegnare ad amare il valore della povertà, bisogna combattere l’ingiustizia che la genera.
In definitiva, “cercate il regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6,33) significa avere una condotta conforme alle esigenze di Dio manifestate da Gesù nel suo Vangelo. La misura della nuova giustizia rivelata da Gesù è questa: “Il re dirà loro: tutte le volte che avete fatto qualche cosa a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. L’annuncio del nuovo regno si accompagna, così, alla rivelazione della nuova giustizia dove anche il minimo tra i fratelli, defraudato di ogni diritto naturale, viene investito della stessa dignità regale del Figlio di Dio. La giustizia legale scopre nella giustizia evangelica, cioè nella carità, la novità assoluta del superamento della giustizia degli scribi e dei farisei fino ad amare i propri nemici. La giustizia umana è perfezionata dalla giustizia evangelica nella promozione del prossimo riconosciuto come fratello. Nella logica del Regno la carità non esclude la giustizia: il diritto è alla base dell’uguaglianza, ma solo la carità la perfeziona trasformando l’uguaglianza in fraternità.
Nella logica del Regno di Dio la giustizia, che nel diritto naturale si esprime nel precetto di “honeste vivere, alterum non laedere, uniquique suum tribuere”, trova il suo compimento elevandolo al precetto dell’amore verso il prossimo che diventa ispirazione e attrazione del mio agire spronandomi a uscire dal mio stretto diritto, come uomo che è legge per se stesso, per aprirmi al mio simile: “tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi anche voi fatelo a loro” e considerare il prossimo legge per l’uomo.