di Francesco Vermigli • Manca meno di un anno alla XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che nell’ottobre del 2018 si riunirà attorno al tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale»: al documento preparatorio del sinodo è stato dedicato da Stefano Liccioli un articolo, in questa rivista online nello scorso mese di marzo. L’argomento dell’assise sinodale intercetta questioni non certo marginali della Chiesa di oggi; anzi, riguarda la vita di coloro che sono chiamati ad essere i protagonisti del futuro (ma anche del presente…) nella comunità dei credenti. Se andiamo più direttamente ai lemmi che compaiono nel titolo, il sinodo sui giovani rimette in campo in particolare un tema tra i più delicati e – nella storia recente della Chiesa – tra i più misconosciuti: quello del discernimento. Consideriamo questo termine in un senso generico, senza declinarlo in forme determinate: preferiamo parlare di “forme determinate”, piuttosto che usare la formula consueta degli “stati di vita”; categoria, quest’ultima, che ci pare non del tutto capace di abbracciare lo spettro completo dei possibili cammini vocazionali personali.
Tanto nella lingua greca, quanto in quella latina le parole che chiamano in campo il tema del discernimento, recano fin dalla loro etimologia il riferimento al giudizio e alla separazione tra varie opzioni o differenti aspetti: in greco si tratta del verbo dia-krino, in latino del verbo dis-cerno. Primo obbiettivo del discernimento sarà dunque quello di esaminare la realtà e dare di essa una valutazione onesta e fondata; senza tuttavia dover intendere una valutazione di questo tipo al modo della soluzione che si ottiene in una scienza esatta.
Il primo scopo del discernimento è dunque fare ordine nella vita del singolo e dare un posto agli elementi che entrano in gioco. Ma v’è anche un altro obbiettivo del discernimento, non meno decisivo del primo: il discernimento ha lo scopo di aprire un cammino. Non potrà mai accadere cioè che al momento valutativo (o, meglio, analitico-valutativo) non faccia seguito il momento operativo. Discernere ha a che fare con la concretezza della vita: non si fa discernimento su cose astratte o su idee, il discernimento è un’opera lenta e faticosa che riguarda il vissuto del singolo; chiede che la persona si implichi e si metta in gioco a partire dalle condizioni concrete della propria esistenza.
Ora, è proprio il timore di mettersi in gioco, di implicarsi e di rischiare che si pone per il giovane di oggi come il più grande impedimento a intraprendere un cammino di discernimento. E non pare proprio gli se ne debba fare una colpa. Il giovane dei nostri tempi vive infatti immerso in una cultura che rende assai difficile il discernimento: l’epoca della liquidità fa apparire talmente evanescenti gli elementi che si dovrebbero esaminare, che quasi pare mancare il materiale su cui fare discernimento. Al giovane dei nostri tempi è richiesto allora uno sforzo ancora maggiore di quello che veniva richiesto ai suoi coetanei, anche solo qualche anno fa: innanzitutto una finezza maggiore per l’individuazione degli elementi su cui fare discernimento, quindi uno sforzo più grande per resistere a sollecitazioni alla dispersione e alla disperazione, che accompagnano e affaticano il cammino faticoso del giudizio, oggi più che mai.
Ci vorremmo qui soffermare però su un fattore decisivo, per trovare soluzione ad una situazione altrimenti frustrante. Alla radice delle difficoltà che il giovane trova nell’intraprendere un cammino di discernimento, sta la percezione che egli sia lasciato solo a se stesso nel percorso esigente della chiarificazione della propria vita e dell’apertura di nuovi orizzonti per il proprio futuro. Qui si avverte il peso di uno Zeitgeist connotato dal tratto dell’individualismo e della parcellizzazione del singolo nella società. Ebbene, il fattore determinante per una soluzione a questa temperie che rende difficoltoso anche solo pensare ad un cammino di discernimento, è la presa di coscienza che – per quanto una tale chiarificazione si faccia per se stessi – questo cammino è reso possibile nel tessuto di relazioni che il singolo stringe con le altre persone.
In particolare, questa presa di coscienza appare come decisiva proprio all’interno della Chiesa. Spetta alla Chiesa accompagnare il cammino di discernimento del giovane: in primo luogo, certo, nella figura di una persona che possa seguire passo passo il giovane, farsi compagno nelle sue fatiche e nei suoi timori; una persona che ora metta in guardia dal pericolo della precipitazione, ora esorti al coraggio nei momenti di stanca; una persona che, poi, sempre sappia infondere speranza e fiducia lungo la strada. Ma questo compito spetta più in generale alla Chiesa, che si presenta sulla scena del mondo come luogo prediletto del discernimento: luogo in cui al giovane viene data la possibilità di porsi in ascolto dello Spirito; luogo in cui, in ultima istanza, gli è dato di porsi in ascolto di Colui che è ispiratore del giudizio su ciascuna realtà concreta, su cui il giovane sia chiamato a fare discernimento.