di Leonardo Salutati • Il 20 ottobre scorso Papa Francesco ha incontrato i maggiori esperti di economia, società, politica ed anche i filosofi e teologi, riuniti in Vaticano dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali nella sua sede, la Casina Pio IV, dal 19 al 21 ottobre, per un convegno internazionale che ha messo a tema la questione di come “Cambiare le relazioni tra Stato, mercato e società civile”.
Il convegno muove da quanto papa Francesco ha denunciato nella Evangelii Gaudium riguardo all’urgenza di risolvere radicalmente i problemi dei poveri, alla necessità di rinunciare all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e al dovere di aggredire le cause strutturali della inequità, «radice dei mali sociali» (EG 202).
L’orizzonte di indagine è quello della Dottrina sociale della Chiesa ma anche quello delle scienze sociali moderne, che comprende tematiche sulle quali la Chiesa ha uno sguardo diverso rispetto al capitalismo dominante che sta diventando l’unica ideologia di riferimento in tutto il mondo. La riflessione della Chiesa, infatti, non prescinde mai dalla preminenza del valore della persona, che è assolutamente centrale in ogni considerazione e tiene sempre conto degli ultimi, ricordando che oggi c’è un grande problema di diseguaglianza e di nuove povertà che la Chiesa ha da sempre presente e che il capitalismo da solo non riesce a risolvere.
Ricordarlo come ha fatto Papa Francesco, in modo solenne e con studiosi ed esperti di tutto il mondo ed a vario livello è importante e non sono parole “come gocce quando piove”, come alcuni ancora oggi polemicamente commentano (medianews24), perché la Chiesa oggi è rimasta l’unica agenzia a parlare di “bene comune” e di “ultimi” e la Dottrina sociale della Chiesa nel trattare di certe questioni con sempre più energia e competenza, col richiamare costantemente alla speranza in Dio e alla fiducia nelle capacità di bene dell’uomo, sottolinea valori importanti e reali ma ignorati nel mondo della finanza e dell’economia (L. Bruni).
Tra l’altro oggi, di fronte a problemi quali diseguaglianze, aggressione all’ambiente, il paradosso di una felicità che oltre un certo livello di benessere cala anziché crescere, un modello di democrazia che non funziona e vede la nascita dei populismi (S. Zamagni) si ripresenta prepotentemente agli occhi di tutti il tema del rapporto tra Stato e mercato, già ben presente alla Rerum novarum di Leone XIII (1891) come lo è oggi a Papa Francesco, il quale giustamente rileva che: «Se prevale come fine il profitto, la democrazia tende a diventare una plutocrazia in cui crescono le diseguaglianze e anche lo sfruttamento del pianeta».
Per questo, osserva ancora il Papa, la sfida da raccogliere è quella di adoperarsi per andare oltre il modello di ordine sociale oggi prevalente e di chiedere al mercato non solo di essere efficiente nella produzione di ricchezza e nell’assicurare una crescita sostenibile, ma anche di porsi al servizio dello sviluppo umano integrale. È necessario mirare a “civilizzare il mercato”, nella prospettiva di un’etica amica dell’uomo e del suo ambiente, diversamente rischiamo di: «sacrificare sull’altare dell’efficienza – il “vitello d’oro” dei nostri tempi – valori fondamentali come la democrazia, la giustizia, la libertà, la famiglia, il creato».
A conferma della capacità della Dottrina sociale della Chiesa di interpretare con obiettività e competenza la realtà sociale ed economica, nonché della legittimità dei richiami di Papa Francesco, oltre al giudizio di un sempre maggior numero di economisti, sta anche quello della storia. Uno dei massimi storici del XX secolo, E.J. Hobsbawm, nella sua opera, Il secolo breve (1994), universalmente riconosciuta come uno dei grandi classici della storiografia contemporanea, nel cogliere le cause e le dinamiche che hanno portato alla “grande crisi” economica del 1929, illustra quelle che sono state le conseguenze di una applicazione ortodossa, acritica e ottusa, dei principi del liberismo economico. Tale approccio avrebbe portato al fallimento del liberismo; ad una economia talmente dominata da grandi gruppi, da rendere insensate espressioni quali «libero mercato» e «concorrenza perfetta»; ad una distanza degli economisti dalla realtà tale da non fargli percepire la scomposizione sociale del tempo tra mercato-stato-società internazionale, che rese gli effetti della “grande crisi” immediati e drammatici; da non cogliere che tutto questo avrebbe spinto verso economie autocratiche di stampo fascista o comunista o dirette dalle grandi società di capitali. Di conseguenza alla luce di quanto già stava accadendo nel 1994 in campo economico e sociale, oltre a constatare la «incredibile brevità della memoria sia dei teorici sia degli operatori dell’economia», Hobsbawm osservava: «A chi come me è vissuto durante quegli anni riesce quasi impossibile capire come le dottrine rigidamente liberiste, allora ovviamente in discredito, possano essere tornate in voga in un periodo di depressione quale quello degli ultimi anni ’80 e degli anni ’90, nel quale, di nuovo, esse hanno dimostrato la loro inadeguatezza teorica e pratica» (Il secolo breve, p.127). Una inadeguatezza che la dottrina sociale della Chiesa continua a denunciare e che, ancora oggi, continua purtroppo a rivelarsi tale.