La mediazione: uno strumento per la soluzione dei conflitti dal forte valore etico sociale. (incontro di studio, Firenze 10 Aprile 2014)

270 380 Gianni Cioli
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di Gianni Cioli • Il 10 aprile 2014 a Firenze presso l’Aula Magna della Facoltà teologica dell’Italia centrale si è svolta la seconda edizione dell’incontro di studio su La mediazione: uno strumento per la soluzione dei conflitti dal forte valore etico sociale, promossa dall’Unione Giuristi Cattolici Italiani, dalla Facoltà teologica dell’Italia centrale e dalla Camera di Commercio di Firenze. L’intento del convegno è stato quello di offrire un percorso interdisciplinare di riflessione e di approfondimento sul significato etico e sociale della mediazione, introdotta con il Decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, quale istituto giuridico alternativo al processo civile volto alla risoluzione dei conflitti. Dopo i saluti e le introduzioni di Stefano Tarocchi, preside della Facoltà Teologica, di Laura Benedetto, segretario generale della Camera di Commercio di Firenze, e di Francesco Zini, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, si sono susseguiti gli interventi in programma: Brunella Tarli, della Camera di Commercio di Firenze, su Panoramica della mediazione ed esperienze della C.C.I.A.A. di Firenze; Mario Buzio, notaio e mediatore, su Violenza e carità nel conflitto; Gianni Cioli, della Facoltà Teologica, su Conflitto, giustizia e mediazione: riflessioni etico-teologiche; Chiara Mambelli, avvocato e mediatore, su Esposizione di un caso pratico – Santa Rita da Cascia, una Santa mediatrice – La devozione della Madonna che scioglie i nodi. Il mio intervento ha inteso offrire un contributo strettamente teologico interpretando nell’orizzonte biblico la categoria della mediazione alla luce di quelle di conflitto e di giustizia. La questione cruciale a cui è approdato il discorso si può ricondurre ad una domanda provocatoria: Per chi vale il Discorso della montagna? Ovvero, il nocciolo della morale evangelica è un messaggio rivolto solo alla comunità cristiana, anzi a una comunità cristiana particolarmente qualificata, oppure è un’opportunità per la famiglia umana in quanto tale? Una risposta ci può giungere dalle ponderate argomentazioni del teologo Klaus Demmer che riconosce nella morale improntata al vangelo la forza di orientare a un «progressivo superamento di tutte le costrizioni che nascono dalla storia della colpevolezza umana» e quindi di prospettare, nelle situazioni conflittuali, la possibilità, e pertanto la doverosa ricerca, di alternative migliori rispetto allo scontro (K. Demmer, Christi vestigia sequentes. Appunti di teologia morale fondamentale, Roma 21989, 139).

Anche il magistero della chiesa ci invita a guardare in questa direzione quando ad esempio promuove la ricerca della pace a tutti i livelli e quando afferma il valore essenziale della relazionalità per interpretare l’humanum (cf. Benedetto XVI Caritas in veritate n. 55)- Le nuove normative sulla conciliazione gestita da un mediatore, terzo e imparziale, come metodo alternativo per la risoluzione di controversie possono risultare un’opportunità per favorire lo sviluppo di una cultura di pace più prossima al significato biblico della parola. Si tratta di una cultura che anche il recente magistero della chiesa propone quale meta non ai soli cristiani ma a tutti gli uomini di buona volontà, alla famiglia umana in quanto tale e, quindi, a tutta la società e a tutte le società in genere. Certo, la “giustizia migliore” (cf. Mt 5,26) del Nuovo Testamento che si attua nella sequela di Cristo in realtà è molto di più che una migliore tutela dei propri interessi mediante vie non conflittuali: è disposizione a lasciare tutto per il tesoro del Regno e quindi a relativizzare i propri presunti legittimi interessi; a rinunciarvi in particolare a favore dei poveri coi quali Cristo ha voluto identificarsi. Tuttavia l’opportunità di tutelare i propri interessi superando il conflitto mediante la conciliazione può essere un segnale minimale ma importante nella direzione dell’ideale evangelico: un segnale particolarmente significativo nell’attuale congiuntura culturale. In effetti nella nostra società si percepisce una crescente inflazione della conflittualità. E il conflitto, se inflazionato, da potenziale stimolo alla ricerca della giustizia diventa fattore distruttivo per ogni occasione di collaborazione sociale. Il conflitto non deve essere negato, rimosso e demonizzato. Deve essere gestito. Entro una certa misura esso può essere sintomo del bisogno di giustizia che incessantemente si ripresenta nella fluidità delle relazioni umane e mezzo per affrontare e superare situazioni di ingiustizia più o meno latenti. Non la negazione, ma la corretta gestione del conflitto può contribuire a valorizzare e migliorare le relazioni umane. Quando però viene inflazionato, da mezzo rischia di diventare scopo, finendo per alimentare l’ingiustizia anziché contrastarla. Mi pare che la mediazione quale strumento offerto dalla recente riforma legislativa possa essere effettivamente uno stimolo ad orientarsi verso una migliore interpretazione e gestione dei conflitti.

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