di Francesco Romano • Il diritto alla buona fama è connesso con la natura dell’uomo come ius nativum. Il Legislatore canonico enuncia questo diritto al can. 220 del Codex estendendolo a “chiunque”, anche se non cattolico o non battezzato, e lo inserisce nel contesto di una normativa compresa tra i cann. 208-223 che delinea i rapporti all’interno di una realtà ecclesiale vista come comunione.
La dignità dell’uomo viene coronata da una dimensione di onorabilità con l’ammissione ricevuta da Dio ad essere partecipe della stessa che Lui possiede, specie in forza della rigenerazione in Cristo.
Il cristiano, poi, essendo creatura di Dio e unito a Cristo che è la Verità rivelata, ha come esigenza la radicale adesione al supremo comandamento dell’amore e alla verità secondo l’insegnamento pratico sia il vostro parlare sì, si; no, no. Il di più viene dal maligno. L’amore per la verità e per il prossimo si oppone alla falsificazione della rappresentazione della realtà che può sfociare nella calunnia, nell’adulazione, nella falsa testimonianza e nel giudizio temerario.
Nel pensiero di S. Tommaso la fama che possiede l’uomo rientra tra i beni temporali più preziosi. Infatti, le qualità fisiche, morali e sociali generano risonanze nella persona che le detiene, dandole la percezione soggettiva della propria dignità e il senso dell’onore.
La buona fama del cristiano è un bene temporale prossimo ai beni spirituali e include, oltre alle qualità umane, le virtù cristiane, l’integrità della fede, la permanenza della comunione del fedele con la Chiesa e con Dio.
La diffamazione ha come base la violazione della legge della creazione e della redenzione e costituisce un vulnus per il bene comune della Chiesa.
La diffamazione tende a compromettere la posizione del fedele nel Corpo sociale della Chiesa e a menomare il suo status giuridico fondato sul battesimo. Viene compromessa anche l’immagine e la credibilità della Chiesa nell’agire dei suoi componenti con la perdita della bona existimatio, e, infine, la salus animarum di chi delinque e di quanti, attratti dal vortice scandalistico, si associano nello stesso delitto contrario alla carità e alla verità.
La tutela penale del diritto alla buona fama non si ferma al diritto reclamato dal soggetto passivo della diffamazione.
L’ordinamento canonico non può che offrirci una prospettiva ecclesiale in tema di tutela del diritto alla buona fama perché la restaurazione della comunione ecclesiale deve coincidere con la restaurazione dell’ordine della carità che è stata violata. Per questo l’irrogazione della pena non avrebbe alcun senso e valore se non si tenesse conto della finalità salvifica di quanti necessitano di essere reintegrati nella comunità come membra vive della Chiesa.
Società e delinquente rientrano in un unico progetto di restaurazione della comunione in cui l’emendamento del reo segna il reinserimento nel Corpo della Chiesa di un suo membro.
Si comprende, pertanto, perché l’attenzione al reo di diffamazione sia centrale nella prospettiva pastorale del Legislatore. Al diritto di ogni uomo di vedersi tutelata la buona fama di cui “chiunque” gode (can. 220), corrisponde la sanzione penale prevista dal can. 1390 §2 per chi, soggetto all’ordinamento canonico (can. 11), viene meno a questo dovere.
Il danno provocato dal delitto di diffamazione travalica la sfera meramente privatistica della parte offesa per entrare nella dimensione giuridica che attiene all’interesse pubblico della Chiesa.
Il processo penale, benché sia considerato l’extrema ratio, è finalizzato alla restaurazione dell’ordine della carità e della comunione ecclesiale. Al contrario, il ristoro del danno arrecato alla parte offesa, essendo di natura privatistica, può essere reclamato da questi in modo facoltativo e si risolve con un’azione contenziosa prevista dal can. 128, non essendo più contemplato come sanzione penale già inscritta nel Codex previgente del 1917.
In definitiva, l’esistenza di tutta la normativa che ha per oggetto la “buona fama” attesta la volontà del Legislatore canonico di apportare strumenti giuridici sempre più idonei in ordine alla realizzazione del bene comune della Chiesa.