di Antonio Lovascio • Che cosa ha da offrire al mondo ed a se stessa l’Europa di oggi, che ha scordato la solidarietà ? E’ giusto che anche la Chiesa, sorgente di spiritualità e speranze, si interroghi, a partire dai laici, spronati da Papa Francesco. Senza mezzi termini Bergoglio l’ha definita “stanca”; per questo “va aiutata a ringiovanirsi, a ritrovare le sue radici” e a ridisegnare il suo destino nel Terzo Millennio. Stanca e divisa, anche a livello di popoli. Lo si percepisce esaminando attentamente la “geografia “ che il voto del 25 maggio ci ha consegnato, creando più problemi di quanti ne possa risolvere. Colpisce soprattutto (con la disaffezione che ha portato ai seggi solo un terzo degli elettori a Londra, meno della metà a Parigi ed il 58 per cento in Italia) il contrasto, la disunione tra i vari Paesi della Ue: se in Germania – capofila delle politiche di rigore ed unica ad averne beneficiato – le forze europeiste tutto sommato tengono, pur arretrando di qualche punto, in Francia un autentico tsunami porta il “Front National” anti-europeista ad essere il primo partito, capace di coagulare un quarto dell’elettorato andato alle urne. In Gran Bretagna l’Ukip – nato da una scissione dei Tory – surclassa conservatori e laburisti in nome del no all’Unione, mentre i partiti ostili all’Europa avanzano ovunque, dall’Austria alla Danimarca. E questi gruppi, che a testa bassa, senza sentir ragione, si battono demagogicamente per il ritorno alle monete e alle sovranità nazionali, trovano entusiastico ascolto e sostegno anche nella nostra Penisola: all’Europarlamento Grillo (il più votato dopo il Pd di Renzi) ha stretto un patto di ferro – pur contestato dalla base del M5S – con Nigel Farage, duro contro l’ingresso sul suolo inglese di nuovi stranieri – anche comunitari – populista ma “aperto” su droghe leggere e matrimoni gay. Mentre i pasdaran della Lega, rilanciata da Matteo Salvini, hanno addirittura stipulato un’alleanza con Marine Le Pen, “campionessa” francese dell’ideologia razzista e delle teorie protezioniste. Perché questo cataclisma ? Perché i partiti tradizionali e le ultime Commissioni esecutive di Bruxelles non hanno saputo aggredire e dare risposte concrete alla crisi che ha investito il Vecchio Continente, facendolo apparire ancora più fragile all’interno del “Villaggio Globale”. Così via via l’Europa ha perso – come non condividere le lucide analisi fatte su “Il Sole-24 Ore” dal cardinale Angelo Scola e dal vescovo teologo Bruno Forte ? – la sua anima solidale: la crisi è morale e spirituale, prima che economica e politica! Un avvertimento Papa Francesco l’aveva già lanciato nel luglio 2013 da Lampedusa, tuonando contro l’indifferenza e la logica del “dio denaro” che guida l’economia mondiale ed è all’origine delle ormai quotidiane tragedie degli immigrati in fuga dalle guerre e dai regimi oppressori. E lo ha ribadito nelle scorse settimane, stavolta in modo più specifico, definendo una “barbarie” il fatto che 75 milioni di giovani europei con meno di 25 anni siano senza lavoro, con un tasso di disoccupazione che in alcuni Paesi supera addirittura il 50 per cento. Non meno carichi di vigorosa denuncia erano stati i moniti lanciati dai predecessori, Giovanni Paolo II (nella sua prima enciclica sociale e in un altro contesto internazionale) e poi Benedetto XVI. <L’economia non funziona solo con un’autoregolamentazione di mercato, ma ha bisogno di una ragione etica per funzionare in favore del l’uomo>. Papa Ratzinger nell’estate del 2011 a Madrid era stato ancor più esplicito, affermando che “la disoccupazione e la crisi di fiducia nel futuro, che tanto toccano i giovani, hanno la loro radice ultima in un male morale e nella diffusione di diverse forme di corruzione”. Quindi se queste generazioni non trovano prospettive nella loro vita, la Chiesa con la sua dottrina deve indicare le strade che portano a rinunciare al massimo del profitto per assicurare giustizia sociale e lavoro a tutti. Il Magistero ecclesiale può sicuramente aiutare a vincere gli egoismi nazionali e personali, a ricostruire quell’identità che è andata gradualmente scolorendo. Ma soprattutto l’esito delle elezioni dovrebbe fungere da elettrochoc positivo, una sveglia impietosa per i leaders di tutta Europa, il cui futuro è più che mai in bilico: o si cambia o ci si rassegna ad un ulteriore, inarrestabile declino. Un ruolo importante – stavolta da protagonista – avrà l’Italia, che dal primo luglio ha assunto con il premier Renzi la presidenza dell’Unione. Nei prossimi sei mesi, proprio in questo delicato compito di propulsione e mediazione, potremo misurare il suo spessore politico: vedremo se saprà riproporre e ricreare quell’”anima solidale” che si è evaporata come neve al sole all’inizio del Duemila, a partire dalle sue motivazioni più profonde. Al centro dell’ispirazione dei Padri fondatori dell’Europa unita (non a caso statisti di profonda fede religiosa ed allo stesso tempo di elevata laicità nell’azione politica, quali furono Adenauer, De Gasperi e Schuman) c’era infatti un’idea chiave, un “progetto” maturato nell’alveo della tradizione cristiana: quello di immettere in termini rigorosi nella società plurale del Vecchio Continente una scommessa, tanto affascinante quanto ultimativa: gli uomini non sono solo uguali, ma responsabili gli uni degli altri. Liberi delle proprie scelte, costruttori della propria storia, dotati di una dignità unica, che deve essere riconosciuta e rispettata dagli Stati, dalle comunità civili e religiose e dai i singoli. Accanto a questa pietra miliare, certo, ci stanno le due priorità invocate dagli europei: l’occupazione e la crescita. Per realizzarle, l’Unione deve però recuperare l’antica saggezza, per essere più aperta, flessibile e competitiva. Serve una leadership autorevole (lo sarà il lussemburghese Jean-Claude Juncker, fortemente voluto dalla Merkel?) , che sappia dare ascolto ai governi, alle preoccupazioni delle famiglie, degli elettori ed anche di chi, per protesta, ha disertato le urne. Una guida non sottomessa agli interessi dei Paesi più forti – Germania in primis – che affronti con coraggio ed equilibrio le sfide che attendono l’Europa, ora smarrita e intrappolata dalla sua burocrazia, schiacciata da una spesa pubblica insostenibile, da leggi che ne limitano l’espansione economica.