«In Gesù Cristo il nuovo umanesimo». Note a margine del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze

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di Francesco Vermigli • Come noto, nel novembre del 2015 si terrà a Firenze il quinto Convegno nazionale della Chiesa in Italia, intitolato «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo». Da molti mesi la macchina si è mossa, pubblicando già dall’ottobre scorso un «Invito» che nelle intenzioni del Comitato preparatorio ha l’obbiettivo di condurre i vari organismi della Chiesa a prendere coscienza dell’altezza delle questioni, che si celano al di sotto del titolo scelto.

Queste righe non hanno la pretesa – che sarebbe a dir poco bizzarra – di elencare quali dovrebbero essere, a giudizio di chi scrive, le priorità tra le problematiche che si addensano attorno alle parole “Gesù Cristo” e “nuovo umanesimo”. Vorremmo solo verificare se un luogo classico del magistero conciliare possa illuminare di una “luce nuova” il tema del “nuovo umanesimo”. Mi riferisco a Gaudium et spes, 22 che nella teologia è chiamato in causa ogni volta che le questioni cristologiche e antropologiche si intrecciano. Vi si legge: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo […] Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione». Parole dense e forti; chiare nel riconoscere l’ordinazione di tutto l’uomo a Cristo, prototipo dell’umanità. Chi voglia sapere come dovrebbe essere l’uomo, a quali orizzonti “sovrumani” sia chiamato, guardi a Cristo e alla rivelazione che nella propria vita Egli fa dell’Amore del Padre.

Eppure questo passo, giustamente celebre, deve essere integrato con il resto del numero 22 della costituzione conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. GS 22 dice più avanti: «In virtù di questo Spirito, che è il “pegno della eredità” (Ef 1,14), tutto l’uomo viene interiormente rinnovato, nell’attesa della “redenzione del corpo” (Rm 8,23): “Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11) […] la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale». Come si vede, la costituzione conciliare coglie questo punto: che noi siamo chiamati a conformarci a Cristo, ma che questa conformazione di fatto è totalmente nelle mani dello Spirito. Come potrebbe essere diversamente, se Gesù garantisce ai suoi discepoli che Colui che riceveranno, lo Spirito di verità, non dirà niente di diverso e di ulteriore a ciò che Gesù ha detto (cfr. Gv 16,14)? E come potrebbe essere – aggiungo ancora – che non sia lo Spirito stesso a intervenire, dal momento che la vocazione a cui è chiamato l’uomo è niente di meno che quella divina? Gesù non è venuto tra i “suoi” per insegnar loro ad essere uomini migliori, ad essere uomini in grado di attuare le potenzialità di una “natura umana”. Cristo è venuto a svelare che non c’è vocazione degna dell’uomo che la vita stessa di Dio: mirare a qualcos’altro sarebbe mirare troppo in basso e, in ultima istanza, sbagliare obbiettivo.

Cosa c’entra tutto questo con il Convegno ecclesiale? Apparentemente nulla. Ma credo potrebbe esser utile ricordarsi che se Cristo svela l’uomo all’uomo, per fede siamo chiamati anche a credere che lo Spirito è il motore, per così dire, implacabile del processo di realizzazione di quella altissima vocazione. Perché su questo punto si gioca la nostra immagine di Cristo e la conseguente immagine dell’uomo. Se percepiamo Cristo come l’uomo perfetto da contemplare, la nostra conformazione a Lui sarà mimetica: vale a dire che saremo portati a imitare i suoi comportamenti, a ridire le sue parole, come si conviene a chi cerchi di riprodurre un modello. Se invece la nostra vita si manifesta come disponibilità a farsi plasmare dallo Spirito, allora Cristo non sarà un Oggetto da guardare come fonte di insegnamento sull’uomo, ma sarà Colui che viene formato in ciascun uomo mediante lo Spirito. L’alternativa allora è tra cercare di conformarsi a Cristo mediante l’imitazione e lasciarsi conformare a Cristo mediante la trasformazione. San Paolo dice che solo nello Spirito possiamo esclamare “Gesù è il Signore!” (cfr. 1 Cor 12,3). Vale a dire che solo lo Spirito – Spirito di verità – può rivelare sia chi è Cristo sia chi è l’uomo stesso; nel momento in cui viene a formare con una dolcissima potenza l’immagine del Cristo in ciascuno. Ogni “umanesimo”, anche nuovo, da questa felice intuizione conciliare – ad un tempo pneumatologica e cristologica – non dovrebbe, credo, prescindere.

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Francesco Vermigli

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