Come un’umile compieta. Preghiera della notte
di Carlo Nardi • 16 luglio 2009. Avevo appena licenziate le ultime bozze di un mio articolo per le monache benedettine di Santa Marta a Montughi, intitolato “Salva nos, Domine, vigilantes”. Grazia e poesia della compieta. Storia delle preghiere, uscito nel loro bollettino, Il riposo nella tenda (n. 34, luglio 2009, pp. 33-53). Sennonché, mentre mettevo a posto le carte, come succede quando si vuol celebrare la fine di un lavoro per ricominciarne un altro, ecco affiorare da una specie di caos una carta sciolta, dispersa in qualche faglia geologica del mio scrittoio, risalente almeno a un annetto prima. Nel foglio c’è una preghiera. Preghiera della notte. Se l’avessi vista prima! L’avrei rammentata in quel saggio, dove ci sarebbe stata proprio bene.
C’è da dire che quella preghiera l’ha racimolata dalla memoria la Giuseppina M., un’attempata prrocchiana. Trascritta diligentissimamente dalla nipote sul foglio riemerso, la riporto con qualche intervento a mio parere eufonico. La ricopio anche allo scopo di invogliare qualcuno ad afferrare il testimone e mettersi in compagnia d’una consegna, che in ambito ecclesiastico con parola solenne e sussiegosa si chiama “tradizione”.
Ascoltiamola, l’orazione notturna.
Gesù mio, me n’ vado a letto,
ed il mio Gesù aspetto
ed il mio Gesù verrà
e ’l mio capo segnerà.
Segna il capo e ’l capezzale,
segna me che son mortale.
Acqua santa, tu mi bagni,
con Gesù tu m’accompagni.
M’accompagni in questa via,
vivo o morto, pur che sia.
Gesù mio, mi butto giù,
non so se m’alzerò più.
Tre cose chiedo a Gesù:
confession, comunione ed olio santo.
Nome del Padre e Figlio e Spirto Santo.
La preghiera merita qualche considerazione. Intanto, c’è un rapporto personalissimo con Gesù: è “Gesù mio”, “il mio Gesù” che fisicamente “il mio capo segnerà”. C’è il segno della croce sul capo. Dev’essere una piccola croce greca, sigillo (sphragís, signaculum) sulla fronte fin dall’antichità, ora nei riti prebattesimali, nella cresima, nell’unzione degli infermi. L’andamento ritmato degli ottonari a rima baciata con riprese e ripetizioni di parole e concetti dà il senso pensoso e placido di una storia raccontata sommessamente tra veglia e sonno, consapevolezza e sogno, dogma e novella. Difatti Gesù farebbe quel segno di croce come un babbo o una mamma sul bambino già addormentato prima d’aver finito l’Angelo di Dio. Delicatamente.
E tale si avverte l’orante, vegliato dal “suo” Gesù in vita e in morte, richiamata, questa, dal sonno, dalla fragile precarietà, dal “capezzale”, parola che rimanda all’agonia.
E ci sono riscontri della presenza di Gesù. Sono segni liturgici, ordinari, pubblici e comuni, parrocchiali. Tra questi l’acqua santa, com’è buon uso, a disposizione per il segno di croce. È l’ultimo segnarsi in attesa di nuovo giorno con altri segni di croce? O è ultimo, definitivamente rispetto al giorno dell’eternità? Dio solo lo sa. Comunque, per “questa via” che è la vicenda umana; “pur che sia”, vale a dire nella continuità dell’esistenza: quell’“acqua” è avvertita come un tutt’uno con quella del battesimo che, “viva”, “zampilla per la vita eterna” (Gv 4,10.4).
Verso la fine il dolce racconto, immaginifico come languido fantasticare nel dormiveglia, si fa brutale: “mi butto giù” fa stridente coppia con un rialzarsi, nient’affatto scontato. È sintesi di raccapriccianti “apparecchi della buona morte”? Famoso quello redatto nel settecento da sant’Alfonso Maria de’ Liguori, e non tra i più ripugnanti, dato l’autore. Ed era un esercizio spirituale diffuso dalle compagnie della buona morte.
Spicciola, concreta è l’indicazione pratica dei due versi finali, più ampi e solenni, con la successione da rituale: confessione, comunione, unzione. Meno lirico per il suo tecnicismo didattico, il catechismo motiva e comunque supporta la poesia della visita notturna di un Gesù quasi in punta di piedi per non svegliare il dormiente nella sua “via” dal tempo all’eterno. Non solo: se l’acqua richiama condizione e grazia battesimale, se la “segnatura” del Cristo sul capo evoca lo stato permanente di cresimato, ecco infine i sacramenti ricevuti e celebrati ordinariamente, confessione e comunione che il momento supremo rende straordinari: la comunione è “provvista per la via”, come una merenda sostanziosa da mettere nella borsa. Gli antichi romani la chiamavano viaticum, da cui viene la nostra parola “viaggio”. E non solo, come si capisce. Tutto si compie nel nome delle tre Persone divine: tutto, dall’acqua al sigillo, a un dire, ad un mangiare nel viatico, a un estremo lenimento. È quanto ricorda un foglietto: scritto apposta per far la dottrina?