di Stefano Liccioli • Sono passati quasi cinquanta anni dalla dichiarazione del Concilio Vaticano II sull’educazione cristiana “Gravissimum educationis”. Cinquanta anni che però non hanno intaccato tutta la sua attualità a cominciare dalla visione dell’educazione come un diritto inalienabile per tutti gli uomini, a prescindere dalla loro appartenenza etnica, di condizione ed età. Particolarmente significativo il passaggio in cui si definisce la famiglia come «la prima scuola di virtù sociali, di cui han bisogno tutte le società» (GEd 3). In una famiglia cristiana, inoltre, «i figli fin dalla più tenerà età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo, e ad amare il prossimo» (GEd 3). Il contesto odierno segnato dalla fragilità delle relazioni familiari e delle figure genitoriali è, a mio avviso, uno dei motivi per cui oggi si parla di emergenza educativa per le nuove generazioni: se, per varie ragioni, i genitori abdicano al loro ruolo educativo, questo vuoto è difficilmente colmabile da altri soggetti autorevoli. Premesso il ruolo fondamentale della famiglia nel campo dell’educazione, la dichiarazione conciliare prende in considerazione, tra tutti gli strumenti educativi, la scuola che serve a «maturare le facoltà intellettuali, sviluppare la capacità di giudizio, mettere a contatto del patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni, promuovere il senso dei valori, preparare alla vita professionale, generare anche un rapporto di amicizia tra alunni di carattere e condizione sociale diversa, disponendo e favorendo la comprensione reciproca» (GEd 5). Questo compito, precisa la dichiarazione, deve essere realizzato attraverso un “lavoro di squadra”, mediante cioè quella che oggi si chiama alleanza educativa tra insegnanti e genitori e che deve essere un impegno costante. Per esperienza personale posso dire, infatti, che quando le famiglie riescono a passare, nei confronti della scuola, da un atteggiamento di controllo ad uno di collaborazione ed i docenti accettano questa collaborazione, l’intervento educativo riesce a fare un salto di qualità, tutto a beneficio dei giovani.
Nel documento conciliare si riflette anche sulla scuola cattolica. Essa, al pari delle altre scuole, persegue finalità culturali e la formazione umana dei giovani. D’altra parte «suo elemento caratteristico è di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, di aiutare gli adolescenti perché nello sviluppo della propria personalità crescano insieme secondo quella nuova creatura che essi sono diventati mediante il battesimo» (GEd 8). Compito della scuola cattolica deve essere quello di saper unire alla formazione culturale quella umana ed evangelica. Le diverse discipline, infatti, possono essere declinate in chiave pastorale consentendo, a mio avviso, di aprire il cuore e la mente di ragazzi e ragazze alla meraviglia per la bellezza e l’ordine del Creato (con lo studio ad esempio delle scienze naturali o la fisica), allo stupore per la grandi capacità creative dell’uomo sia in campo tecnico che artistico.
Ancora oggi le scuole cattoliche permettono alla Chiesa di avvicinare giovani che sarebbe difficile intercettare altrimenti. Da parte loro tali scuole non devono perdere questa occasione importante di poter annunciare il Vangelo ed il messaggio della salvezza in quella quotidianità fatta di lezioni, incontri, esperienze.
Concludo con una citazione della “Gravissimum educationis” a proposito degli insegnanti:«È dunque meravigliosa e davvero importante la vocazione di quanti si assumono il compito di educare nelle scuole. Una tale vocazione esige speciali doti di mente e di cuore, una preparazione molto accurata, una capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento» (GEd 5). Non si diventa docenti per convenienza o opportunità, ma per vocazione. Una vocazione che porta a stare accanto ai giovani con passione e coerenza, che deve fare degli insegnanti non dei maestri che ammoniscono, ma dei testimoni credibili, punti di riferimento in cui poter avere fiducia.