Il matrimonio può essere privatizzato?
di Andrea Drigani • I sacramenti del Nuovo Testamento, come ci ricorda il can.840 del Codice di diritto canonico, istituiti da Cristo Signore e affidati alla Chiesa, in quanto azioni di Cristo e della Chiesa, sono segni e mezzi mediante i quali la fede viene espressa e irrobustita, si rende culto a Dio e si compie la santificazione degli uomini, e pertanto concorrono sommamente a iniziare, confermare e manifestare la comunione ecclesiastica. I sacramenti vengono sempre celebrati coram populo Dei. Essi sono per loro natura «pubblici» (in latino publicus è affine a populus). Il matrimonio, già presente nell’Antico Testamento, è stato elevato da Cristo Signore alla dignità sacramentale. Il sacramento del matrimonio, dunque, è, come gli altri sei sacramenti, un atto «pubblico» ed è di pertinenza, secondo l’aspetto giuridico-canonico, del «foro esterno». Il «foro» o piazza, nel diritto romano, era il luogo pubblico dove si compivano i negozi giuridici ed i giudizi. Nel diritto della Chiesa venne introdotta la distinzione tra «foro esterno» e «foro interno». Una distinzione che può lasciare perplessi gli esperti di diritto civile. Come si può avere un «foro interno» dove si pongono atti sconosciuti alla comunità? D’altra parte la Chiesa è una società sui generis, che ha come legge suprema la salvezza delle anime, e non può tenere unicamente in conto solo quanto succede «in piazza». Di primo acchito si potrebbe osservare che un conflitto tra «foro interno» e «foro esterno» è un conflitto tra coscienza e diritto, ma non è così; si tratta, invece, di un conflitto tra due norme canoniche all’interno dell’unico sistema giuridico, una delle quali rimane occulta e di conseguenza ignorata dalla comunità, mentre l’altra è pubblica. Queste considerazioni mi sono venute alla mente dinanzi al problema, che in questi giorni sta suscitando molta attenzione da parte di certi mass-media, quello cioè della comunione ai divorziati risposati, che è un fenomeno rilevante, ma inferiore rispetto a quello assai più vasto dei conviventi senza vincolo. Qualcuno propone come soluzione «ordinaria» per l’ammissione all’Eucaristia da parte dei divorziati che hanno contratto un nuovo matrimonio civile, il ricorso al «foro interno», cioè al confessore. A tal proposito è bene rammentare che quando un atto di «foro interno» consente un certo comportamento, valido pure per il «foro esterno», non lo si può attuare in questo «foro esterno», se contrasta con le norme pubbliche vigenti. Siccome non possono essere presentate prove dell’atto di potestà, la comunità non può riconoscere la legittimità di un tale comportamento. E’ per questo che, se un fedele ritiene di non essere legato nel «foro interno» dal vincolo matrimoniale derivato da una apparentemente legittima pubblica celebrazione (e non si esclude che la sua certezza possa corrispondere al vero), non può pretendere che la comunità riconosca il suo punto di vista soggettivo, nascosto e inverificabile, accettando di agire in modo contrastante con le norme in vigore. Il ricorso al «foro interno» è straordinario, segreto, privato (privatus in latino significa: separato, isolato, a parte). Il sacramento del matrimonio ha origine con un’azione pubblica in facie Ecclesiae e, ordinariamente, con un’altra azione pubblica termina. Nella Chiesa cattolica la conclusione di un vincolo matrimoniale avviene con una dichiarazione di nullità pronunciata, con sentenza, da un tribunale ecclesiastico dopo un processo. E’ da osservare che anche la prassi delle Chiese ortodosse circa l’autorizzazione alle cosiddette «seconde nozze» prevede un atto pubblico coram populo Dei. In presenza di un matrimonio fallito, con un divorzio, i fedeli delle Chiese ortodosse che si è riaccompagnano, non decidono da soli di accedere alla Comunione, ma fanno un’istanza al Vescovo, che completata un’istruttoria, emana un decreto, col quale, dopo un rito penitenziale pubblico, viene concesso di iniziare una convivenza sulla base della oikonomia, un concetto che nella tradizione ortodossa interpreta ed ispira le norme canoniche più alla condiscendenza che alla severità (akribeia). I prossimi Sinodi sul matrimonio e sulla famiglia dovranno affrontare diversi e gravi argomenti, non solo quello della comunione ai divorziati, ma tra i vari criteri che sarebbe auspicabile che guidassero i lavori vi è quello di non cadere nel rischio di collocare il sacramento del matrimonio tra le questioni private e individuali, mentre è azione di Cristo e della Chiesa.