di Francesco Romano • Il dovere di obbedienza al Magistero ecclesiastico (can. 212) si inserisce nel quadro dei diritti e doveri fondamentali di ogni fedele presenti nel II Libro del vigente Codex Iuris Canonici, tra cui l’obbligo di conservare la comunione con la Chiesa (can. 209 §1), il diritto-dovere di impegnarsi nella diffusione dell’annuncio della salvezza (can. 211), il diritto di ricevere la parola di Dio (can. 213), il diritto all’educazione cristiana e il dovere di condurre una vita conforme alla dottrina evangelica (can. 217), la giusta libertà di investigare nelle scienze sacre e di manifestare con prudenza il proprio pensiero (can. 218).
Ogni uomo ha il dovere di ricercare la verità nelle cose che riguardano Dio e la sua Chiesa. La conoscenza della verità lo vincola per legge divina obbligandolo ad abbracciarla e osservarla (can.748 §1). Per questo, tutta la Chiesa e ogni singolo fedele devono impegnarsi nell’esercizio del munus docendi annunciando il Vangelo secondo i modi e le competenze specifiche di ciascuno.
Il diritto dei fedeli di ricevere dai sacri Pastori la parola di Dio è congiunto al diritto di ricevere i sacramenti (can. 213). Parola e sacramenti appartengono al divino deposito che la Chiesa tutela, anche con sanzioni penali attraverso l’esercizio del munus regendi dei sacri Pastori, per la salvaguardia dell’autenticità della parola, della sua trasmissione, per la valida e lecita celebrazione dei sacramenti.
La dottrina proclamata dal Magistero autentico ha per contenuto la fede e i costumi (cann. 747; 752). Questo inscindibile rapporto contrassegna la profondità dell’azione salvifica della parola che non veicola un insegnamento astratto, ma deve inserirsi concretamente in ogni ambito della vita umana e da essa ripartire.
Le verità da credere per fede divina e cattolica sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata che il Magistero solenne della Chiesa e il Magistero ordinario e universale propongono come divinamente rivelate da chiederne un assenso di «fede divina e cattolica» (can. 750 §1), fondato sulla fede nell’autorità della Parola di Dio che suppone una fides credenda, teologale, divina e cattolica.
L’assenso alle verità necessarie per custodire santamente ed esporre fedelmente il deposito della fede, non proposte come formalmente rivelate, ma connesse necessariamente alla Rivelazione, è mosso dalla fides tenenda (cann. 749 §2, 750 §2) la cui certezza trova fondamento nella fede dell’assistenza dello Spirito Santo al Magistero della Chiesa e nell’insegnamento della dottrina cattolica sull’infallibilità del Magistero.
Fides credenda e fides tenenda, riguardando verità insegnate infallibilmente e quindi accomunate anche dal carattere della “definitività” dell’assenso.
Solo con un «religioso ossequio dell’intelletto e della volontà » (can. 752), ma senza un «assenso di fede», devono essere accolte le dottrine che il Magistero ordinario insegna, in modo non definitivo e riformabile, per aiutare ad approfondire la conoscenza della Rivelazione o la conformità di una dottrina alle verità di fede. Per questo è richiesto solo un atteggiamento di “venerazione”, senza un assenso di fede, nella certezza sull’autenticità dell’insegnamento dei Sacri Pastori per la particolare assistenza dello Spirito Santo.
L’adesione dei fedeli al proprio Vescovo quando insegna come dottore e autentico maestro della fede richiede solo un atteggiamento di «ossequio religioso dell’animo» (can. 753), per il minor grado di certezza di verità che reca in sé.
La stessa adesione «con religioso ossequio dell’animo» (can. 753) richiesta ai fedeli, è rivolta alle dichiarazioni dottrinali del Magistero autentico delle Conferenze Episcopali (can. 455).
Autenticità e integrità della Parola rivelata costituiscono una dimensione di giustizia intraecclesiale perché sono alla base del dovere di conservare la parola di Dio e del diritto di ogni fedele di poter usufruire autenticamente di tale conservazione.
Il sensus fidei di tutti i battezzati attiene al munus propheticum ricevuto col battesimo, riconosciuto e regolamentato anche nel Codice di Diritto Canonico, soprattutto con l’inserzione nel can. 750 §1 della partecipazione dei fedeli all’accertamento della verità rivelata. Il sensus fidei non è una via di conoscenza alternativa, ma procede dall’azione dello Spirito Santo che guida i fedeli ad accogliere intimamente gli insegnamenti del Magistero e a credere che senza aderire a esso non può esserci adesione alla parola di Dio.
Il livello di diversità gerarchica che spetta al Magistero deriva dalla struttura di fondazione della Chiesa voluta dal Signore che conferisce a esso la prerogativa dell’infallibilità o, comunque, della sua funzione autoritativa come potestà di servizio nella tutela della conservazione del depositum fidei.
Pertanto, il sensus fidei è autentico quando senza contrapposizioni predispone lo spirito e il cuore del Popolo di Dio al sentire cum Ecclesia accogliendo con «religioso ossequio dell’intelletto e della volontà» (can. 752) o con «religioso ossequio dell’animo» (can. 753) anche l’insegnamento del Magistero non definitivo e non infallibile. Non sarà mai esclusa la fede teologale, cui sempre è tenuto il fedele di fronte al Magistero autentico, anche quando non è richiesto un assenso di fede assoluto e definitivo.
I limiti del Magistero non infallibile non ammettono limitazioni al dovere di obbedienza perché l’obsequium è sempre collegato alla fede teologale, «il religioso ossequio non può essere solo esteriore o disciplinare, ma deve collocarsi nella logica e sotto la spinta dell’obbedienza della fede» (Cf. CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, (Instructio Donum veritatis, in EV, vol. 12, n. 23, p. 211).
Il giudizio privato di un fedele, anche se si trattasse di un teologo, non potrà mai entrare in competizione con la certezza dell’insegnamento del Magistero autentico, quantunque non infallibile, rimanendo soltanto un’opinione privata.
In caso di conflitto interiore, la Congregazione per la dottrina della fede, nella Donum veritatis, invita al silenzio colui che, per uno spirito leale e animato dall’amore per la Chiesa, potrebbe vivere una tale situazione come una prova difficile. (Cf. Ibid., n. 31, p. 217).
Potremmo definire questo “silentium” come “obsequiosum” in analogia con il “religiosum obsequium” che è richiesto al fedele di fronte al Magistero non infallibile e non definitivo.
Il religioso ossequio cui è tenuto il fedele di fronte al Magistero non infallibile, prende in considerazione non tanto il contenuto della dottrina insegnata, bensì il dovere di obbedienza della fede nell’assistenza dello Spirito Santo ai sacri Pastori che li abilità all’insegnamento autentico.
Parlare di «religioso ossequio» anziché di «assenso di fede» non significa aprire la strada alla legittimazione del dissenso.
Il silenzio sofferto e la preghiera sono sostenuti dalla certezza che se la verità è veramente in causa, essa finirà necessariamente per imporsi (Cf. Ibid., n. 31, p. 217).