Più educazione, più virtù e più fiducia in economia
di Giovanni Campanella • Il mercato e il dono – Gli spiriti del capitalismo è un libro scritto da Luigino Bruni, professore ordinario di Microeconomia e Storia del pensiero economico alla LUMSA, e pubblicato da Università Bocconi Editore nell’Ottobre del 2015. Il libro si incentra sugli intrecci tra dono e mercato nella storia economica, soprattutto negli ultimi secoli. I primi capitoli danno alcune definizioni e inquadrano i capitalismi attualmente esistenti. I capitoli centrali presentano la tradizione dell’Economia civile e i primi grandi teorici di questa corrente di pensiero e di azione (che comunque affonda le sue radici nei primi secoli del cristianesimo), tra cui Antonio Genovesi e Giacinto Dragonetti. Gli ultimi capitoli trattano dell’impatto della riforma protestante sull’economia mondiale.
Alla base della crisi odierna sta un forte pessimismo antropologico. Si pensa molto spesso che l’uomo sia totalmente incapace di fare spontaneamente del bene, non sia naturalmente capace di cooperare. Aristotele non la pensava affatto così: per lui l’uomo è animale politico, capace di virtù, capace di compiere azioni buone anche per gli altri. La tradizione cristiana ereditò questo ottimismo e lo sviluppò fino alla fine del Medioevo. I monasteri furono insostituibili e straordinari luoghi non solo di cooperazione e di conservazione, ma anche e soprattutto di innovazione. Lì il legame tra innovazione e botanica appariva ancora più evidente. I monaci innovarono sia nei germogli che in economia.
Purtroppo però esistono nell’uomo gli effetti di una ferita primordiale che lo portano in sentieri malsani. Lo scandalo del mercato delle indulgenze e della compravendita della grazia, che ha valore infinito, suscitò ripugnanza in molti. Lutero, legittimamente impressionato da un tale eccesso, costruì la sua teologia sull’eccesso opposto: l’uomo, meschino e miserabile, non può nulla, non ha alcun senso parlare di virtù, non può fare alcunché di buono se non fidarsi di Dio solo in un rapporto pressoché privato senza troppe mediazioni umane. Il suo pensiero attecchì in buona parte dell’Europa. In quest’ottica, l’uomo, inguaribile egoista, si rivolga a Dio privatamente e sia conscio di poter mettere solo la sua meschinità di fronte a Lui. Pubblicamente, dice Hobbes, sottostia a ferree mediazioni superiori, indispensabili per la sopravvivenza.
Il presbitero Antonio Genovesi, «primo cattedratico di Economia in Europa (nel 1754, a Napoli, nella cattedra di Commercio e meccanica, istituita dal riformatore toscano Bartolomeo Intieri)» (p. 59), si inserì in una linea mediana più tendente all’ottimismo. E’ vero che non esiste nell’uomo solo una forza diffusiva, l’amore della specie, ma anche una forza “concentriva”, l’amor proprio, che tende a soverchiare l’altra. E’ vero che nel commercio bisogna distinguere tra lo spirito di conquista e lo spirito civile di reciprocità. Ma, con un buon esercizio della virtù, ben lungi dall’esser vano, e con un buon sistema di istituzioni mirante non tanto a guidare tutto l’uomo ma a rafforzarne appunto l’esercizio della virtù, l’economia può portare pace e accresciuto benessere all’umanità. Giacinto Dragonetti, discepolo di Genovesi, sviluppa il pensiero del maestro e scrive Delle virtù e dei premi. Bruni cita alcuni passaggi: «”E’ vero, che tutti i membri dello stato gli debbono i servigj comandati dalle leggi, ma è altresì fuor di dubbio, che i Cittadini debbono essere distinti, e premiati, a proporzione de’ loro servigj gratuiti. Le Virtù sono tanti servigj considerabili, e arbitrari, che si prestano allo stato. Sono più che umane quelle Virtù, che bastano a se stesse” (p. 12, corsivo mio» di Bruni «). Le espressioni “servigi gratuiti” e “bastano a se stesse” sono due espressioni che ci svelano un ingrediente chiave di una teoria delle virtù civili: la ricompensa delle virtù è la virtù stessa. Quindi, anche se la collettività deve ricompensare dall’esterno, in qualche modo, le virtù, la ricompensa esterna si appoggia sulla ed è complementare e sussidiaria alla prima forma di remunerazione che è intrinseca, interna al soggetto virtuoso. In altre parole, perché un’etica delle virtù funzioni e si implementi nella società c’è bisogno di educazione e di cultura» (p. 75).
Calvino, pur condividendo in buona sostanza il pessimismo antropologico di Lutero, ha più fiducia nella politica e nella sfera sociale: in qualche modo Dio conduce gli individui nel posto che a loro si addice, senza troppo bisogno di quello Stato leviatano di cui parlerà Hobbes un secolo più tardi. Calvino influenzò Adam Smith, considerato il padre del pensiero economico moderno. Secondo Smith, gli spiriti intrinsecamente egoisti dei singoli individui sono orientati tutti verso un bene comune, come condotti da una mano invisibile, vista non come un rigido meccanismo ma come un’immanente tensione verso un ordine. Più di due secoli dopo Smith, gli economisti hanno dovuto più volte correggere il suo tiro a seguito dei cosiddetti “fallimenti del mercato” che continuano vistosamente a verificarsi nella storia.
Vico e Genovesi furono assai meno ascoltati rispetto a Smith ma, ben prima di lui, svilupparono un’idea di Provvidenza in politica ed in economia. Tale Provvidenza deve però essere agevolata da privati e istituzioni, il cui egoismo non è inguaribile: essi possono e devono essere educati alla virtù.
Interessantissimo è anche il legame che Bruni individua tra calvinismo e giansenismo.
Le ultime pagine del suo libro sono “affidate” ad Amintore Fanfani. Storico dell’economia e poi politico, egli fa una distinzione tra dottrine volontariste e naturaliste. Il volontarismo ammette che esista nell’uomo una tendenza a deviare dal giusto tracciato ma ammette anche la possibilità che l’uomo possa essere corretto, allenandolo alla virtù e affiancandolo a istituzioni comunitarie, relazionali, non anonime. Il naturalismo crede che l’uomo sia completamente incapace di virtù ma crede in un ordine economico immanente razionale che si attua secondo le leggi naturali. Conseguentemente, il naturalismo riduce «tutte le possibili norme ad una sola, quella di lasciare operare le leggi naturali in libertà» (Fanfani come citato a p. 157). Il pensiero di Fanfani, Bruni e degli esponenti dell’Economia civile rientra nel filone volontarista.
Una possibile terapia che ci suggeriscono per l’attuale economia malata consiste quindi in «educazione, scuola, premi e istituzioni che rafforzino la virtù» (p. 156), la fiducia nell’altro e nell’Altro.