“Globalizzazione e teologia” di Joerg Rieger

«adoperato, a partire dagli anni 1990, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo» (Enciclopedia Treccani).

Il teologo Joerg Rieger in Globalizzazione e teologia (Queriniana, 2015) mette a fuoco proprio il rapporto di interdipendenza tra teologia e globalizzazione, al fine di una maggiore comprensione delle loro prospettive e dei loro metodi.

La tipologia di globalizzazione più diffusa, almeno nella consapevolezza collettiva, è quella dall’alto al basso per mezzo di un potere duro. Essa è assai antica: ha avuto le sue prime espressioni già con l’Impero romano. Quest’ultimo mirava a espandersi su tutta la terra inglobando le realtà che incontrava. Gli elementi “innocui” venivano fatti propri mentre «le alternative reali [al potere], come appunto quelle fornite dal cristianesimo delle origini» venivano – per così dire – “ammaestrate”. L’Imperatore si interessò quindi al cristianesimo con l’intenzione di controllarlo e orientarlo e così mantenere (e accrescere) il controllo politico sull’Impero. Non a caso i primi concili della Chiesa furono convocati, presieduti e ratificati dagli imperatori. Questo controllo non veniva esercitato solo a un livello estrinseco: si cercò di legittimare la forma di potere attraverso la teologia. Ora, il teismo classico concepiva Dio come onnipotente, impassibile e immutabile; la figura di Gesù attribuiva a sé ben altre caratteristiche: onnipotenza nel sacrificio, passibilità, dinamicità. Per questo motivo si operò lo spostamento da una cristologia dal basso, storica, soteriologico-messianica, a una dall’alto, filosofica, ontologica. Anche per quanto concerne la forma delle asserzioni teologiche si è passati dalla pluralità del canone del NT ai decreti imperiali universali. L’Imperatore avrebbe, per così dire, spinto per immettere il teismo classico nella fede cristiana facendo di Cristo un sostenitore del potere dall’alto: in questo senso è da interpretare l’affermazione circa la consustanzialità del Figlio col Padre.

in unum di coloro che sono oppressi, generando un nuovo modo di essere nel mondo. La Chiesa corpo di Cristo chiede di non abolire le differenze (come, entro certi limiti, anche l’Impero) e soprattutto conferisce «“maggior onore alle membra inferiori” (1Cor 12,24)».

«la divisione qui non era tanto tra “ebrei” e “greci”, bensì tra classi agiate e no». Essa, proponendo i suoi principi come universali, non fece uso del potere duro. Calcedonia confessò così la pienezza dell’umanità e della divinità in Cristo ma non spiegò cosa esse significassero, rimandando alle concezioni del teismo classico.

»; a queste si oppongono le varie teologie della liberazione che indicano Dio nel povero e questi diventa oggetto di attenzione.

»; ma, positivamente, occorre lasciarsi in-formare da una nuova visione della realtà alla luce della quale giungere a una più profonda comprensione del significato dell’altro e della pluralità.