Dire «ho meritato i tuoi castighi» nell’atto di dolore è di ostacolo o di aiuto a comprendere la misericordia di Dio?

540 389 Gianni Cioli
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confessione-a-medjugorje-03di Gianni Cioli  Mi è stata posta la seguente domanda: «Nell’atto di dolore si dice “mi dolgo dei miei peccati perché ho meritato i tuoi castighi…”. Quali sono i castighi di Dio? E come può un Padre misericordioso assegnare castighi all’uomo? La parabola ci insegna che quando il “figliol prodigo” torna a casa non viene punito per aver dilapidato il patrimonio paterno, ma accolto con una grande festa».

La questione, particolarmente stimolante nell’ambito del Giubileo della misericordia indetto da papa Francesco, merita certamente una risposta articolata.

Diciamo innanzitutto che la formulazione tradizionale dell’atto di dolore può anche non piacere e che è legittimo fare uso di formule alternative. Lo stesso Rito della penitenza ne prevede ben nove più semplici e ispirate alle parole dei salmi o dei vangeli. Per esempio, la più concisa dice: «Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». In ogni caso il penitente può trovare altre espressioni che lo mettano più a proprio agio anche facendo ricorso a preghiere spontanee.

Tornado all’atto di dolore tradizionale si può certamente riconoscere che il rifermento ai castighi presente nella formulazione tradizionale possa suscitare imbarazzo in alcuni fedeli. E non è un fatto nuovo: se ben ricordo quando ero piccolo – e parlo di circa cinquant’anni fa – mi era stata insegnata una versione edulcorata dell’atto di dolore che ometteva il riferimento. Non nego inoltre che talora, la catechesi, la predicazione e la stessa prassi della confessione, possano aver veicolato una visione distorta e terroristica dei castighi di Dio col rischio di far perdere all’annuncio del vangelo la sua qualità di essenziale di «buona notizia». Su queste problematiche appaiono opportune e illuminanti le considerazioni offerte da papa Francesco nella Evangelii gaudium, nella Misericordiae vultus, nei suoi interventi al Sinodo e, soprattutto, nel suo magistero quotidiano.

Premesso questo bisogna anche dire che l’affermazione «ho meritato i tuoi castighi» non è scorretta da una punto di vista teologico e a antropologico e, se ben compresa, risulta infondo un’esaltazione della misericordia di Dio. Proprio la parabola del figlio prodigo ci fa comprendere questo: quando il figlio ritorna è consapevole non di meritare altro che di essere trattato come l’ultimo dei servi, ma il padre lo sorprende non solo reintegrandolo come figlio, ma addirittura facendo festa. Se il figlio si fosse presentato invece con la pretesa arrogante di essere riaccolto senza neanche scusarsi, ignorando la gravità di quello che aveva fatto, che tipo di reazione ed emozione susciterebbe in noi la parabola? Probabilmente la percepiremmo come una deprimente affermazione della «banalità del male».

Dire «ho meritato i tuoi castighi» può infondo significare semplicemente che nel sacramento della riconciliazione vogliamo metterci di fronte alla misericordia del Padre con umiltà, senza arroganza e senza presunzione, proprio come il figlio della parabola, consapevoli che il perdono di Dio non è un atto dovuto, lasciandoci sorprendere ogni volta dalla misericordia divina.

Si tratta in sostanza di elaborare la consapevolezza che il peccato è un male serio perché, proprio come era successo al figlio prodigo, ci separa e ci allontana da Colui che ci ama ed è la sorgente della nostra vita.

A partire da quest’ultima considerazione si può giungere a riconoscere che il peccato, in sé e nelle sue conseguenze, è infondo già castigo a se stesso nella misura in cui ci separa da Dio. Il percepire questo e lo sperimentare tutto il malessere che ne può derivare è, se ci pensiamo bene, un’autentica grazia di Dio che ci aiuta a rimetterci, proprio come il figlio prodigo, in cammino per ritrovare la strada di casa, ovvero per ritornare in comunione con il Padre, sorgente della nostra vita e della nostra gioia. E, se possiamo riconoscere nella percezione delle conseguenze negative dei peccati una grazia che ci aiuta a svegliarci dalla nostra improvvida presunzione, potremmo anche giungere ad intendere l’affermazione «ho meritato i tuoi castighi» come un’espressione di gratitudine al Dio della grazia, che non resta indifferente davanti ai nostri peccati e non ci abbandona alla nostra sorte pur rispettando fino in fondo la nostra libertà.

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