La Chiesa ha ancora bisogno della teologia?
di Francesco Vermigli •
Sembrerà forse eccessivo chiedersi se la Chiesa abbia ancora bisogno della teologia. Alla fine, anche il teologo più geloso del proprio ruolo ecclesiale riconoscerà – almeno, ce lo auguriamo – che di una sola cosa la Chiesa ha realmente bisogno: della relazione vitale con il Dio Trino, che l’ha voluta, la sostiene e la conduce alla consumazione finale (Lumen gentium 2-4).
Tuttavia il quesito mi è sorto a partire da una recente intervista, rilasciata ad un quotidiano tedesco da un cardinale tra i più in vista della Chiesa cattolica. Alla domanda del giornalista “la cura delle anime viene prima di tutto?”, ha risposto: “Sì, più cura pastorale che dottrina. L’insegnamento ecclesiastico, la teologia sono dati ormai assodati”. Che è poi dire: la dottrina e la teologia sono sì da tenere in considerazione, ma devono essere piegate alle esigenze pastorali più impellenti del momento. Non mi pare allora illegittima la domanda iniziale: non si lascia spazio ad un’ulteriore riflessione teologica, se la si definisce come ormai “assodata”.
Ora, il teologo che una volta si diceva “sistematico”, tanto quanto lo storico della teologia, noterà alcune aporie in tale risposta. Ad essa va concessa l’attenuante della semplificazione tipica dei moderni mezzi di comunicazione, che nella precisione somigliano alle sottigliezze delle dispute della teologia bizantina, quanto nello stile le mie filastrocche ai sonetti del Petrarca.
Quest’intervista suscita alcune considerazioni. Innanzitutto, “dottrina” e “teologia” non sono sinonimi, poiché non coincidono; talvolta possono toccarsi e sovrapporsi, ma sempre sono da considerare distinte. Il grande teologo gesuita ottocentesco Carlo Passaglia, ad esempio, distingueva tra un “metodo dogmatico” e un “metodo teologico”: se il primo si appella all’autorità della Rivelazione e ha l’obbiettivo di confermarci nella fede, il secondo si appella alla ragione e ha l’obbiettivo di comprendere la fede.
Inoltre, nella sopra citata risposta si dice anche della dottrina che è un dato ormai “assodato”. Che la Rivelazione sia un dato ormai “assodato” è affermazione che diremmo – se ci è permesso – “dogmatica”. Ma che la dottrina sia in sviluppo e che sempre chieda un’ulteriore precisazione, senza potersi dire mai “assodata” – quasi fosse qualcosa di cui non è più necessario discutere – ce lo insegna il grande Ottocento dei Möhler, dei Rosmini, degli Scheeben e dei Newman e la “nouvelle théologie” dei Daniélou e dei de Lubac alla metà del secolo successivo. Il dogma si sviluppa, senza mai mettere in discussione le acquisizioni precedenti, come i simboli o le definizioni cristologiche dei primi concili. Esso è come la progressiva cristallizzazione storica, sotto l’assistenza dello Spirito, della definitiva Rivelazione in Cristo.
Infine, pare necessario dire qualcosa anche sulla distinzione – che nella vulgata cattolica tende alla separazione – tra teologia e dottrina da un lato e pastorale dall’altro. Eppure, si dovrebbe sapere che i dogmi della Chiesa e la riflessione teologica che li ha accompagnati sono sempre nati come risposta a esigenze pastorali e spirituali del popolo di Dio. A Nicea, ad esempio, si comprese cosa avrebbe significato per la Redenzione ritenere Cristo un mezzo-Dio: se il Cristo non è vero Dio, non salva. A Costantinopoli si percepì, a seguito della riflessione dei grandi Cappadoci (simbiosi teologia-dogma…), che se lo Spirito non è Dio, il battesimo non ha alcuna ragion d’essere. Il dogma dell’Immacolata, addirittura, fu definito nonostante il silenzio di tante epoche della storia della teologia: ma fortissima è stata la spinta data dal popolo di Dio nel senso della definizione dogmatica. Tutto questo non fu forse la risposta della Chiesa sia sul piano dottrinale sia su quello teologico ai bisogni pastorali e spirituali? Che cosa sarebbe stato della nostra fede se i Padri, i pontefici e i grandi teologi della storia avessero ritenuto “assodate” dottrina e teologia?
Credo che la Chiesa abbia ancora bisogno della teologia; anzi, che ne abbia bisogno tanto più ora. Il nostro tempo presenta sfide inimmaginabili all’intelligenza credente; e questa deve farsi trovare all’altezza di questo tornante storico. In verità, è lo stesso modo della trasmissione della Rivelazione che chiede alla Chiesa di continuare a fare teologia. Come Dio ha scelto di comunicare agli uomini la salvezza attraverso la carne di un figlio del popolo di Israele, così la trasmissione della Rivelazione avviene attraverso la carne degli uomini di ogni tempo. Ma dire uomo significa dire, inevitabilmente, pensiero. Finché ci sarà la Chiesa, ci sarà la necessità della riflessione teologica. Ogni risposta alle grandi problematiche dei nostri tempi che voglia prescindere dalla teologia, è destinata semplicemente al fallimento. In questo, historia [Ecclesiae] magistra vitae.
NUMERO DI FEBBRAIO 2014