E se la verità accadesse nella carità? – Spunti di riflessione sulla Lumen Fidei
di Alessandro Clemenzia •
Spesso, quando ci si trova davanti ai termini “verità” e “amore”, scatta, in chi legge, una sorta di antinomia, vale a dire una vera e propria contrapposizione logica tra parole “contrarie”. Non si tratta, in realtà, di una contrapposizione morale o etica, come, per esempio, buono e cattivo, in quanto sia l’esperienza dell’amore sia quella della verità sono la realizzazione del senso di pienezza che alberga nel cuore di ogni uomo. Ogni persona, infatti, aspira tanto al raggiungimento della conoscenza della verità, quanto alla piena realizzazione di se stessa nell’amore.
Queste due parole, messe vicine, generano, tuttavia, una contrapposizione logica, anche se riferite ad un unico soggetto, come a Dio. Egli è in Se stesso e amore e verità; ciò nonostante, è come se una delle due andasse a perfezionare l’altra, non come aggiunta, ma come forza avversativa di equilibrio: per cui Dio è amore “ma” nella verità, ed è verità “ma” rimanendo amore. In questo linguaggio, tipico di una mentalità diffusa, la verità viene compresa come se fosse una semplice messa a nudo dell’umanità; l’amore, invece, viene interpretato come la possibilità di recupero e di perdono (in altre parole, il “nonostante tutto” della situazione).
Papa Francesco, nell’Enciclica Lumen Fidei, parla di una verità che scaturisce dall’amore, e scrive: «La luce dell’amore, propria della fede, può illuminare gli interrogativi del nostro tempo sulla verità» (n. 34). L’amore qui non solo non è considerato avversativo alla verità, ma viene addirittura presentato come luce attraverso cui vedere, leggere, cercare e interpretare la verità. È la luce dell’amore a illuminare, e dunque a rendere visibile la profondità della verità.
«La verità oggi – continua il Papa – è ridotta spesso ad autenticità soggettiva del singolo, valida solo per la vita individuale. Una verità comune ci fa paura, perché la identifichiamo con l’imposizione intransigente dei totalitarismi» (ibid.). La verità, se vista come “messa a nudo” della situazione, diventa l’arma tagliente contro il proprio “io” in mano all’avversario o la possibilità che ci viene offerta, sempre attraverso di essa, di colpire l’altro.
In questo gioco di “difesa” e “attacco” la veritas viene fatta propria da ciascuno e ridotta alla misura della propria esistenza, e dunque limitata all’orizzonte che, se segnato dalla paura dell’altro, è veramente ristretto e chiuso. Secondo questa logica, spiega il Papa, una verità comune significherebbe una collettiva sottomissione a chi che sia.
Continua l’Enciclica: «Se però la verità è la verità dell’amore, se è la verità che si dischiude nell’incontro personale con l’Altro e con gli altri, allora resta liberata dalla chiusura nel singolo e può far parte del bene comune» (ibid.). Qui non si parla dell’amore per la verità, ma della verità dell’amore, una verità che viene generata dall’incontro personale con l’Altro e gli altri. Interessante osservare come secondo questa interpretazione la veritas non precede l’incontro, come se essa fosse il criterio oggettivo di valutazione della realtà, ma scaturisce da e nell’incontro, non soltanto con l’Altro (Colui che è in se stesso la Verità), ma anche con gli altri, tutti coloro che, pur nascondendoli, conservano i segni delle ferite causate dalla propria contraddizione.
E questo dice una cosa fondamentale: la verità non è a-priori,,, né in un soggetto né nell’altro, ma nella relazione che si istaura “tra” loro. Perché la verità accada nella relazione, quest’ultima deve essere caratterizzata dall’amore: «Essendo la verità di un amore, non è verità che s’imponga con la violenza, non è verità che schiaccia il singolo. Nascendo dall’amore può arrivare al cuore, al centro personale di ogni uomo» (ibid.). L’amore qui non è un atteggiamento pacifico o un sentimentalismo, ma è il contesto, lo spazio del darsi della verità, che non costringe o schiaccia l’altro, ma, anzi, lo libera e rigenera alla relazione. Lì dove i rapporti sono all’insegna dell’amore reciproco, fuoriesce la verità.
Ma allora, di quale verità si sta parlando? In effetti non si può intendere semplicemente una corrispondenza tra l’opinione e la realtà; essa deve spostare l’attenzione di chi la guarda da sé a qualcosa (o qualcuno) che è oltre e altro da sé. Sembra qui fare da sfondo un motivo scritturistico di straordinaria importanza e bellezza: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Lì dove tra due o più persone l’amore è genuino, puro, autentico, disincantato e disinteressato, si invera la presenza di Colui che, solo, è la Verità. Le relazioni vere, dunque, quelle all’insegna dell’amore, hanno la capacità di generare Dio tra gli uomini.
NUMERO DI APRILE 2014