Anastasis: la morte come evento personale-comunionale. Note antropologiche a partire dalla Liturgia dell’antica Veglia Pasquale ortodossa
di Dario Chiapetti • Se è vero che la liturgia è l’epicentro della vita spirituale e perciò del pensare teologico del cristiano e che questi è dotato di due polmoni, se ne deduce che per il cristiano non ortodosso guardare alla Liturgia ortodossa sia di grande importanza. Propongo allora, in questo Tempo Pasquale, delle semplici note teo-antropologiche ispiratemi da uno sguardo dato alla Liturgia ortodossa dell’antica Veglia Pasquale, «l’apice degli uffici bizantini», come è stata definita da Robert Taft, noto studioso in questo ambito di ricerca teologica (A partire dalla Liturgia. Perché è la liturgia che fa la Chiesa, Roma 2004, 280).
Ebbene, il tema della morte di Gesù colta nella sua stretta correlazione alla risurrezione e iconizzato nella discesa agli inferi è predominante. E a ciò si collega il secondo tema, quello battesimale, ossia, la connessione tra la morte di Cristo quale fonte di vita e la morte e la vita dell’uomo. È la morte di Cristo a essere rivelata in tutto il suo valore salvifico, vivificante, risurrezionale, in quanto, non la vita rimpiazza la morte ma la morte, come atto d’amore sacrificale, trasforma la morte da condizione di isolamento, alienazione a quel medesimo modo d’essere d’amore sacrificale, e quindi in vita. Per dirla con Ioannis Zizioulas (1931), la morte vissuta dalla “Persona” (il Figlio) fa sì che essa divenga evento personale-comunionale (dal Padre per lo Spirito Santo), e quindi di vita e così di trasformazione di ogni ipostasi, che con tale morte entra in contatto, da «biologica» (mortale) a «ecclesiale» (immortale) (cf l’importante Apo to prosôpeio eis to prosôpon. Hê symbolê tês paterikês theologias eis tên ennoian tou prosôpou, in Charistêria eis timên tou mêtropolitou Gerontos Chalkêdonos Melitônos, Tessalonica 1977, 287-323). Il senso della risurrezione, il ciò che si celebra la Domenica, allora non è quello di un atto di prepotenza del Padre (o, peggio, del Figlio) che annichila la morte con la vita ma il ricevere del Figlio, nella morte-alienazione sperimentata nella sua umanità in obbedienza al disegno del Padre in favore degli uomini, il modo di esistenza personale-comunionale dal Padre, lo Spirito Santo, facendo sì che tale modo di esistenza nella morte venga comunicato agli uomini che Cristo incontra in essa.
Ecco così qualche semplice evidenziazione del forte contenuto antropologico del mistero della morte-risurrezione di Cristo che la Liturgia dell’antica Veglia Pasquale ortodossa offre in virtù del suo cogliere l’ampia prospettiva dell’evento pasquale che riconosce il significato profondo del Sabato quale fulcro teologico dei “tre giorni” e che si estende fino alla parousia: l’uomo-Anastasis, icona della vita, icona dell’ipostasi ecclesiale.