Lo spirito del mondo a cavallo. Napoleone a 200 anni dalla morte

Avrà avuto ragione Napoleone nel disprezzare il generale nemico, facendo passare l’idea che in condizioni normali lo spirito del mondo – che Hegel aveva visto come incarnato a cavallo, nella figura di quel piccolo generale corso – lo avrebbe davvero portato a Bruxelles? Che sia stata una cattiva luogotenenza sul campo, che siano state le truppe fresche ma raccogliticce o che sia stato il fato, lo spirito del mondo non lo condurrà mai a Bruxelles e lo disarcionò, come i cavalli disarcionano i fantini che non riconoscono più.

E allora, ce lo domandiamo ancora una volta con il Manzoni, come abbiamo fatto all’inizio: “fu vera gloria”? Le nostre incapacità e le nostre titubanze dinnanzi ad una tale domanda restano immutate. Certo noi vediamo che fu la sua vita un dramma. Come è il dramma degli uomini geniali e dei grandi. Un dramma della supponenza e dell’intelligenza, un dramma dell’onore. Il dramma dei grandi, che poi sono anche i più soli.

In una strofa della sua ode il Manzoni se lo immagina a mani incrociate a scorgere l’orizzonte al declinar del giorno, schiacciato dalla nostalgia dei ricordi: «Oh quante volte, al tacito / morir d’un giorno inerte / chinati i rai fulminei / le braccia al sen conserte, / stette, e dei dì che furono / l’assalse il sovvenir!» (vv. 73-78). Il destino dei grandi, un destino che sa di nostalgia e di malinconia, di occhi che vorrebbero infiammare l’aria, ma che si chinano alla rassegnazione. È il destino dei grandi, che hanno cavalcato la storia come se fosse stato un puledro addomesticato e obbediente e si ritrovano alla fine caduti, come se quello spirito del mondo avesse deciso di trasmigrare altrove. E così accadde a Napoleone, su un’isola lontanissima dallo strepito delle numerose battaglie. Il 5 maggio di 200 anni fa.