«Siamo tutti sulla stessa barca nella stessa tempesta». Riflessioni sul peccato sociale e conversione nel tempo della pandemia.
Per meglio esprimere quello che vorrei dire cedo la parola al Cardinale Betori riportando, col suo permesso, uno stralcio della sua lettera ai preti fiorentini del 24 marzo 2020:
«Dobbiamo riuscire a cogliere nel dramma in cui siamo piombati una significativa lezione circa la natura della condizione umana. Il coronavirus fa emergere una unità della società e dell’intero genere umano di cui, per così dire, avevamo perduto coscienza. Negli ultimi due secoli e, in modo accentuato, negli ultimi decenni, ci siamo ubriacati di esaltazione dell’individuo, alla ricerca di un “io” che fosse tutto nostro, da non spartire con nessuno: preoccupati di mettere confini, illusi di creare ambienti protetti, divisi dagli altri per interessi e pregiudizi, affamati di possessi tutti nostri. La società della globalizzazione di merci e comunicazioni e anche la società dei muri e dei privilegi. E ora, all’improvviso, con la violenza di una calamità, ci riscopriamo tutti incatenati da un invisibile virus, che mette allo scoperto legami indistruttibili, che non sono creati per fini economici o ideologici, ma naturali: sono i legami che ci fanno membra di un unico genere, il genere umano. II virus è un affare di noi uomini e donne, solo di noi e di tutti noi, nessuno escluso, perché anche chi non viene contagiato ne subisce pesantemente le conseguenze, e questo in tutte le dimensioni della vita: materiali, sociali, culturali, spirituali. Così ci scopriamo connessi a un livello ben più profondo di quello della circolazione dei beni e della condivisione delle news e dei loro spesso devianti commenti.
Il problema che ci sta di fronte è come vivere questa mutua appartenenza, questa reciproca dipendenza. Come una condanna da cui liberarsi per riconquistare, non appena sarà possibile, la nostra indipendente autonomia? O come una vocazione da far traslocare dal piano biologico a quello culturale e sociale e, perché no, a quello della fede? In fondo il mistero dell’incarnazione ha come termine questa carne che ci accomuna tutti e il mistero della salvezza avviene nella carne che è ciò che oggi viene aggredito e che da sempre ci lega. La comune umanità, da condizione deve diventare missione e l’appartenenza comune deve potersi tradurre in solidarietà, che ci fa gli uni responsabili degli altri, pronti a prenderci cura del fratello, soprattutto quello più debole.
È questo l’atteggiamento da maturare in questo nostro tempo e che non dovremo disperdere nel futuro. Guai se tutto tornasse come prima. Non è vero che ha da passà ‘a nuttata: abbiamo bisogno che sorga un giorno nuovo, diverso da quelli di prima, meno offuscato dalle bramosie individuali e più illuminato dalle responsabilità reciproche».
Chiediamo a Maria, che ci accompagna in questo “esodo” con amore di madre, il dono urgente della conversione della mente e del cuore, e chiediamolo non soltanto per noi ma per tutta la famiglia umana. Per quel che ci riguarda, impegniamoci fin da subito ad orientare concretamente i nostri sentimenti e il nostro volere alla solidarietà. Sia questo l’inizio della nostra risurrezione pasquale.