di Antonio Lovascio · Nell’avventura della vita non siamo soli, Gesù ci tende la mano. L’incoraggiamento, le carezze di Papa Francesco all’umanità smarrita di fronte al Male calato nelle nostre case sotto forma di Coronavirus – che ha seminato panico in tutto il mondo, distrutto famiglie per lutti e malattia, ridotto allo stremo ed anche alla fame quelle più povere e disagiate – sono state di grande conforto, come le parole di sostegno e stimolo dei nostri Pastori. Hanno soprattutto sviluppato un grande senso di solidarietà, che in molte zone della Penisola ha permesso finora di contenere tensione e rabbia, garantendo coesione sociale. Un desiderio di aiuto spontaneo, partito dal basso, dalle comunità parrocchiali attraverso la Caritas, incanalato pure da organizzazioni laiche. Ma la Politica ha tardato a comprendere che la pandemia si sarebbe presto trasformata, da emergenza sanitaria senza precedenti, nella più grave crisi economica dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ad intuire che ci vorranno almeno venti anni per ricostruire il Paese dalla macerie finanziarie, molti mesi per far ripartire le fabbriche chiuse per limitare il contagio (un danno, secondo Confindustria, di almeno cento miliardi al mese) e riaprire la rete commerciale congelata in questi mesi di isolamento in cui sono rimasti aperti solo supermercati e rivendite alimentari. Tutto questo per ricreare almeno un paio di milioni di posti di lavoro persi. Per ridare,insomma, nuove speranze ai più giovani dopo che un’intera generazione di anziani ci ha purtroppo lasciati. La maggior parte,addirittura, senza il conforto dei parenti ed onoranze funebri.
Chiudere attività è facile: riaprirle non lo è affatto, e questo è ancora più vero in un Paese di piccole e micro imprese com’è il nostro, che conta su realtà con scarso capitale alle spalle, vessate da imposte e adempimenti, già provate da anni di crescita zero. Più fragile, quindi, degli altri Stati del Vecchio Continente non certo risparmiati dal Male del secolo, che ha colto tutti impreparati non avendo compreso in tempo la gravità del contagio giunto dalla Cina. Ma anziché mettersi subito all’opera per affrontare insieme un piano di salvataggio e di ricostruzione dopo l’emergenza sanitaria, i leaders (?) europei si sono messi come al solito a litigare su Eurobond e Coronabond, ignorando gli appelli di “padri nobili” come Jacques Delors, o di figure di assoluto prestigio internazionale come il presidente uscente della Bce Mario Draghi, gli ex premier Romano Prodi e Mario Monti, forti questi ultimi delle loro esperienze nell’esecutivo di Bruxelles.
Se salta la solidarietà, l’Europa si dissolve e non si salverà nessuno. In pochi l’hanno capito (tra questi naturalmente il nostro governo) ed hanno lanciato una sorta di ultimatum, sul quale sta cercando di mediare la presidente della
Commissione Ue Ursula von der Leyen, che – seppur in ritardo – ha chiesto scusa all’Italia. La partita in gioco è stata ben spiegata in editoriali sul “Corriere della Sera” (Mario Monti e Ferruccio de Bortoli) e sul “Messaggero” (Prodi). Si tratta dell’ormai consueto scontro fra Nord e Sud, fra i cosiddetti Paesi virtuosi e noi meridionali, che siamo evidentemente considerati “viziosi”. Come sempre il fronte dei “virtuosi” trova la sua punta più oltranzista nell’Olanda, già contraria all’entrata dell’Italia nell’Euro, oggi contraria a ogni forma di solidarietà. Un Paese che – è stato giustamente fatto notare – fa del rigore il proprio scudo ma che, nello stesso tempo, è di tutti il più abile a praticare politiche fiscali di dubbia legittimità per trasferire ad Amsterdam le sedi delle imprese degli altri Paesi europei, a cominciare dalla FCA.
Come sempre è avvenuto negli ultimi tempi, la Germania si è affiancata all’Olanda, seppur con un linguaggio meno offensivo. Il rifiuto tedesco nei confronti di una politica di solidarietà europea almeno non viene imputato ai peccati di noi meridionali, ma al fatto che dimostrarsi solidali “mette in discussione i principi fondamentali della Germania”. Queste parole della Merkel riflettono forse la necessità di ogni politico di tenere conto delle preferenze del proprio elettorato (vizio simile a quello di certi sovranisti nostrani) ma, di fronte alla tragedia a cui assistiamo, ci obbligano anche a riflettere su quali debbano essere “i principi fondamentali” che tengono insieme l’Ue.
Oltre che ad affievolire il nostro sentimento europeo, il persistere di queste divisioni rischia di avere come più concreta, visibile conseguenza – sul piano dell’economia mondiale – una “caduta” dell’Europa almeno il doppio di quella americana. Mentre secondo gli esperti la Cina sta recuperando pienamente il suo trend produttivo, con una crescita superiore al 3 per cento. Dovremo tutti fare i conti con la dittatura di Pechino.