Quando l’economia diventa profezia

Un suo saggio del 1926, La fine del Laissez Faire, indicava con straordinaria chiarezza la strada che avrebbe portato al Welfare State, alla forte ondata di investimenti pubblici nell’economia europea (con i fondi Usa del Piano Marshall) per fare ripartire l’Europa e dunque anche gli Usa creditori dopo i disastri della Seconda Guerra Mondiale, le strategie macro-economiche verso il Mercato Comune Europeo e i provvedimenti per migliorare salari, diritti dei lavoratori, sicurezza, consumi, qualità della vita e del lavoro. Un pensiero liberale e democratico, una economia mista, una costante ricerca di equilibrio tra intervento pubblico nell’economia, mercato, dinamismo dell’intraprendenza privata. Keynes ragiona in modo realistico e scientifico sulle varie forme possibili di equilibrio tra pubblico e privato.

Ancora prima, all’inizio del giugno 1919, in totale disaccordo con il modo in cui si andavano conducendo le trattative di pace dopo la prima guerra mondiale alle quali stava partecipando come rappresentante del Tesoro britannico, comunicò all’allora Primo Ministro britannico Lloyd George, che «intendeva lasciare la scena di un incubo» e con altrettanta straordinaria chiarezza e lungimiranza compose il pamphlet, Le conseguenze economiche della pace, dove denunciava la durezza e l’insensatezza della “pace cartaginese” imposta alla Germania sconfitta.

Diversamente, preconizzava Keynes: «Se miriamo deliberatamente a impoverire l’Europa centrale, la vendetta, oso predire, non si farà attendere. Niente allora potrà ritardare a lungo quella finale guerra civile tra le forze della reazione e le convulsioni disperate della rivoluzione, rispetto alla quale gli orrori della passata guerra tedesca svaniranno nel nulla» (p. 212). Quando Keynes scriveva il suo libro, Hitler era solo uno degli innumerevoli disperati che vagabondavano per le vie di Monaco. Se si fosse dato retta all’economista inglese e ai molti che condividevano le sue idee, sarebbe probabilmente rimasto tale…

Oggi tutti dicono che siamo in guerra (contro un virus) e che la situazione economica è pari a quella di un “tempo di guerra”, tanto che: «Di fronte a circostanze non previste un cambio di mentalità è necessario (…). Lo shock che ci troviamo ad affrontare non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di chi la soffre. (…). La memoria delle sofferenze degli europei negli anni 1920 è un ammonimento» (M. Draghi).

timthumbSi sta entrando in una recessione che probabilmente sarà certamente lunga e pesante e proprio in tali situazioni un altro grande economista, tra i migliori interpreti di Keynes, invitava a: «riscoprire l’economia degli affetti, non delle regole», di ciò che tiene insieme le persone e determina lo sviluppo, la partecipazione, la condivisione (F. Caffè), in altri termini lo sviluppo sostenibile (Laudato si’) e solidale (Populorum progressio).