L’Apostolikì Diakonia da papa Francesco. Sugli ultimi passi del cammino della Chiesa cattolica romana con la Chiesa ortodossa di Grecia

750 500 Dario Chiapetti
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apostoliki_itdi Dario Chiapetti Lo scorso 25 febbraio papa Francesco ha ricevuto una Delegazione dell’Apostolikì Diakonia, l’organismo ecclesiastico ufficiale del Santo Sinodo della Chiesa di Grecia, che si occupa della programmazione, dell’organizzazione e della realizzazione dell’opera educativa e missionaria della suddetta Chiesa (web).

In tale occasione il papa ha pronunciato un breve ma denso discorso. Dopo aver rivolto i suoi cordiali saluti alla Delegazione, e in particolare al Direttore Agathanghelos, vescovo di Fanarion, ha espresso apprezzamento per la collaborazione tra quest’ultima e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani iniziata da oltre quindici anni e che ha dato vita a tanti lodabili progetti culturali e formativi, segno di una volontà di camminare insieme nella reciproca conoscenza e azione per una testimonianza comune. In particolare, Francesco ha invitato a un impegno nella pastorale familiare proprio quale «fecondo campo di collaborazione tra ortodossi e cattolici». E ciò, sia facendo riscoprire ai fedeli coniugati il «dono del matrimonio»; sia accompagnando coloro che si trovano a vivere situazioni in cui «la vita familiare non si realizza secondo la pienezza dell’ideale evangelico e non si svolge nella pace e nella gioia»; sia a «collaborare attivamente per promuovere, in vari contesti, nazionali e internazionali, attività e proposte che riguardano le famiglie e i valori familiari».

L’incontro, svoltosi in un clima di fraternità, segna un’ulteriore importante tappa del dialogo tra Chiesa cattolica romana e ortodossa di Grecia e si inserisce in un cammino che le due Chiese stanno condividendo da tempo. Ricordo qua brevemente le sue ultime più importanti tappe.

Il 4 maggio 2001 fu firmata la Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e il Vescovo di Atene e tutta la Grecia, Christodoulos. All’Areopago di Atene avvenne ciò che, secondo Walter Kasper, allora Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, aprì una nuova pagina delle relazioni tra le due Chiese e del loro rapporto talvolta difficile. In tale occasione, i due capi ecclesiastici espressero il loro desiderio di comunione e l’impegno comune nella testimonianza cristiana relativamente alle problematiche connesse all’evoluzione sociale e scientifica, alle guerre, alla globalizzazione e all’Europa.

Nel marzo 2002 una Delegazione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di Grecia fu ricevuta in visita da Giovanni Paolo II e il 14 febbraio 2003 il già ricordato Kasper contraccambiò la visita a Christodoulos. In tale occasione il porporato portò a Sua Beatitudine le parole di Giovanni Paolo II, parole di apprezzamento per il cammino svolto e pieno di auspici per un suo sviluppo, e soprattutto per quanto concerne l’urgenza di una testimonianza di unità «in modo che le radici cristiane dell’Europa rivivano di linfa nuova». Sempre in tale occasione, Kasper parlò del cammino insieme delle due Chiese come un cammino che suscita molteplici speranze. La speranza di una riconciliazione tra le parti; la speranza di ritrovare un favorevole contesto da cui far scaturire progetti e collaborazioni che possano avere un vero influsso sui bisogni dell’Europa; la speranza di ripristinare un profondo dialogo teologico; e ovviamente la speranza che la Chiesa ortodossa di Grecia sia consapevole dell’impegno della Chiesa cattolica romana a promuovere un’intesa e uno scambio all’insegna di autentici contatti fraterni.

Infine, il 14 dicembre 2006, a Roma, Benedetto XVI e Christodoulos firmarono la Dichiarazione comune che richiamava l’urgenza di un «dialogo della verità» e di un «dialogo della carità»; del dialogo teologico costruttivo come «una delle vie essenziali di cui disponiamo per ristabilire l’unità […] affinché tutti gli uomini siano, anch’essi, in comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e che la loro gioia sia perfetta»; dell’importanza delle religioni al fine di promuovere la pace; dell’imperativo per la scienza di rispettare la dignità della persona, per l’Europa di difendere i diritti fondamentali dell’uomo, per la tecnologia e l’economia di difendere il creato.

Questa veloce carrellata dei passi svolti nel dialogo tra le due Chiese mette in luce come conoscenza reciproca e azione comune sono i termini su cui – di fatto dalle spinte del Concilio Ecumenico Vaticano II – si stanno muovendo i rapporti tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa di Grecia – e l’ecumenismo in generale – e che, da più di quindici anni, nel caso di queste due Chiese, si è passati a una vera attuazione pratica di un cammino comune.

Ciò che davvero occorre è conoscersi per agire e agire per conoscersi. Quanto al primo aspetto, se la conoscenza reciproca non può prescindere dall’esame degli aspetti dottrinali e tale sforzo deve consistere in un esercizio intellettuale teso ad un approfondimento della verità, il fine della conoscenza reciproca deve essere un’azione comune. Tale azione deve qualificarsi come testimonianza – intra e extra-ecclesiale – e, precisamente, manifestazione del giovanneo ut unum sint, laddove l’unum dice non monadicità, e quindi uniformità (il plotiniano dissolvimento dei molti nell’uno), ma i molti, rivela cioè un’ontologia dell’alterità stabilita in comunione e della comunione stabilità in alterità. Quanto invece al secondo aspetto – dell’agire per conoscersi -, vale quanto affermato da Bergoglio e cioè che «fare insieme aiuta a riscoprirsi fratelli». In tal senso, sono personalmente convinto che valga il principio gnoseologico secondo cui la comunione conosce e ciò in quanto la comunione è la verità. L’amore, ciò che caratterizza un vero incontro tra persone e che coinvolge l’umano e l’esistenza con le sue istanze e urgenze, conosce.

L’uomo ecumenico deve esporsi all’incontro, o – per dirla con Emmanuel Lévinas – al volto dell’altro. E per far questo – per dirla con Gesù di Nazaret – deve prendere il largo.

Non è questa la vocazione del cristiano?

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Dario Chiapetti

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