di Antonio Lovascio • E’ “l’infame schiavitù del nostro secolo”, come l’ha definita nella tradizionale Festa dell’8 marzo al Quirinale, il Capo dello Stato Sergio Mattarella. È quella che caratterizza le donne vittime di sfruttamento sessuale. Donne – spesso di minore età e talvolta provenienti da vere e proprie tratte – di cui si approfittano uomini di ogni età e censo. Vittime non meno di quelle che vengono uccise ( i femminicidi in Italia sono purtroppo in aumento!) per mano di mariti, compagni e fidanzati. E’ un fenomeno diffuso che sicuramente svilisce il grado di civiltà del nostro Paese. Ma per debellarlo non servono i “colpi di genio” alla Salvini, che – mentre si autoproclama difensore della famiglia – vorrebbe il ritorno alle “case chiuse”, ignorando che In Olanda, ad Amsterdam, in Germania, dove da decenni le “case di tolleranza” ci sono, stanno facendo marcia indietro perché sia il mercato legale che quello illegale sono in mano al racket; e che altre Nazioni, come la Francia e la Norvegia, tentano di scoraggiare la domanda e dunque il rapporto prostituente con norme punitive nei confronti dei clienti.
Ad abbassare i toni del vicepremier e leader della Lega, a fargli riporre (momentaneamente ?) nel cassetto una proposta oltre che profondamente ingiusta ormai vecchia, superata ed obsoleta, è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità riguardanti il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione, puniti dalla legge Merlin. Questa resta in vigore tutta intera, anche per il mercato del sesso “libero-professionale” delle escort, disponibili e prenotabili. La decisione della Consulta è netta: reclutare, agevolare, favorire la prostituzione resta un delitto anche oggi, come 60 anni fa.
E la prostituta ne è vittima, diciamolo subito, a scanso di equivoci: come con inconfutabili argomentazioni ha commentato su “Avvenire” Giuseppe Anzani (raffinato giurista già magistrato), l’oggetto del divieto penale non è la sua condotta, costretta o libera che sia, forzata o intraprendente, pur sempre toccata da stigma sociale di sprezzo (o di pietà) per il “turpe mestiere”, ma l’attività altrui che l’attornia e che come una rete ne impania la vita, o un segmento di vita, con differenti gravità di figure criminose, dalla tratta schiavizzante al lenocinio alla mera agevolazione di una scelta predecisa.
La legge che porta il nome di Lina Merlin (combattiva senatrice socialista, maestra elementare di Pozzonovo in provincia di Padova), è rimasta ferma, anzi salda. Ma il dibattito ha smosso tanti problemi che meriterebbero un altro profondo scandaglio rispetto alla sociologia dei mutamenti del costume dall’epoca delle “case chiuse” a oggi. È vero, i tempi sono cambiati dal 1958, come hanno sottolineato diversi opinionisti. Ora esistono i centri massaggi, esistono i privé dei locali a luci rosse, esistono gli annunci sul web. Il sesso a pagamento è offerto ovunque, è cresciuta anche la prostituzione maschile. Ma la sostanza non è affatto mutata, né la domanda fondamentale: è libertà, questa? Esiste qualcuno che onestamente può pensare che, fatta salva qualche rara eccezione, esercitare la prostituzione sia una espressione di autodeterminazione? Non mistifichiamo la realtà: hanno scritto o affermato in interviste alcuni autorevoli costituzionalisti. La prostituzione è sempre subordinazione e negazione della relazione. Non c’è esercizio di libertà sessuale in una prestazione offerta dietro compenso, perché lo scambio di denaro presuppone il potere del cliente di disporre a piacimento del corpo dell’altro.
Occorre prendere atto che accostare la parola autodeterminazione, in particolare femminile, all’esercizio della prostituzione è del tutto fuorviante. E proprio l’autodeterminazione – il motivo dominante del dubbio sollevato sull’incriminazione del reclutamento e del favoreggiamento della prostituzione – è diventata, più che uno slogan, un vortice del pensiero. “Se decidi di prostituirti ne hai libertà; di più, ne hai diritto; anzi tale diritto fa parte dei diritti inviolabili protetti dall’art. 2 della Costituzione”: così si è andati dicendo. “Che senso avrebbe, dunque, punire chi aiuta un altro a realizzare una sua libertà, un suo diritto?” Così ragionando, non si è forse aperto uno spiraglio analogo, seppure ancora incerto, in tema di suicidio? (Anche questo s’è purtroppo sentito!). Forse un giorno il consumo personale di droga, che la legge dice non punibile, sarà pensato come libero-diritto siccome autodeterminato, e la sua agevolazione un fatto indifferente? Potremmo proseguire con altri esempi sulle orme dell’analisi di Giuseppe Anzani, ampiamente condivisa da altri esperti di Diritto e di diritti. Ponendo altri interrogativi per sintetizzare le aberranti linee di pensiero di chi non vuole arginare lo sfruttamento sessuale delle donne. Ma fermiamoci alle parole forti di Mattarella: la prostituzione corrompe una società intera, perché distrugge la dignità femminile.