Mani pulite e l’illusione che tutto sia cambiato

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di Antonio Lovascio · Forse l’orologio è rimasto fermo a trent’anni fa, al 17 febbraio 1992 quando, con l’arresto a Milano di Mario Chiesa (“il mariuolo isolato dal resto del Partito Socialista”: così l’aveva definito Bettino Craxi), cominciò con Mani Pulite una stagione giudiziaria e politica che ha segnato le sorti del Paese: 5mila indagati solo nel capoluogo lombardo, 1.200 condanne, 41 suicidi. Dati che, tra il 1992 e il 1994, hanno lasciato il segno nell’Italia smarrita ed avvelenata della Prima Repubblica.

Trent’anni dopo, assistendo alle ricostruzioni televisive e rileggendo la cronaca di quei giorni e di quei mesi, interrogandoci su cosa essa ci ha insegnato, dobbiamo a malincuore prendere atto di una rivoluzione mancata e secondo alcuni “tradita”. Perché purtroppo l’etica pubblica è evaporata quasi del tutto, passando attraverso il berlusconismo e l’antiberlusconismo, il giustizialismo di piazza (avviato con il cappio esposto dalla Lega in Parlamento nel 1993 contro i partiti che poi si sono estinti non avendo avuto la forza di rigenerarsi) e il garantismo peloso, la partitocrazia senza ormai partiti dalle profonde radici ideali, culturali e storiche come quella che stiamo vedendo in questo Terzo Millennio. Ma anche l’etica dei cittadini ha fatto il suo corso negativo, raggiungendo il livello massimo di evasione fiscale (si parla di cento miliardi di euro l’anno), cui si sono aggiunte nell’era pandemica le truffe sul reddito di cittadinanza e perfino nella dotazione e distribuzione delle mascherine.

C’è chi pensa addirittura che oggi la corruzione – che purtroppo ha contagiato anche esponenti della magistratura – sia più diffusa di prima e le regole introdotte per fermare il finanziamento illecito dei partiti vengano troppo spesso aggirate, come dimostrano le inchieste giudiziarie puntate su alcune Fondazioni per generose “donazioni”, provenienti addirittura dall’estero, a qualche parlamentare o politico.

Se la Giustizia deve essere riformata e pure autoriformarsi, ancor più deve fare la Politica, immeschinita non di meno in questa emergenza dai gioghi di potere, dalle ripicche personali. Pare abbia perso il senso dell’interesse generale per cedere alla tentazione del facile consenso da far fruttare nelle prossime competizioni elettorali. Molto preoccupata a sopravvivere a sé stessa, perde ogni confronto con la Politica che progettò l’Italia futura e moderna con la Costituzione, frutto pregiato della Resistenza. Riscoprire un nuovo senso del dovere e del “bene comune” è la Resistenza di oggi.

Politica e Giustizia per rinnovarsi possono partire proprio dalla lezione di Tangentopoli. E da un presupposto. La corruzione e il finanziamento illecito non li ha certo inventati dal nulla il pool di Mani Pulite alla Procura di Milano. Così come il clientelismo, le complicità e i compromessi con le grandi aziende e ambienti criminali, la lottizzazione degli incarichi pubblici, la spartizione degli appalti. Esistevano già e il “cittadino comune” lo sapeva bene: ne parlava indignato al bar o in coda negli uffici della Burocrazia e però, se capitava o gli serviva, ne approfittava per il suo tornaconto.

Oggi più che rifare da capo la storia, sembra più utile riflettere su quanto è rimasto di quella triste stagione.  È rimasto il “prima”, o almeno la stessa percezione del “prima”: partiti deboli e visti con diffidenza dal “cittadino comune” che ha preferito affidarsi a movimenti populisti senza bussola e leader affidabili, oppure astenersi dal voto; una tendenza al protagonismo, per fortuna minoritaria ma comunque assai diffusa tra i pubblici ministeri; il vizio di gran parte del mondo dell’informazione e soprattutto dei Social di riferire le tesi accusatorie come fossero verità accertate e sancite da una sentenza definitiva.

Il cambiamento, insomma, è ancora tutto da costruire, attraverso riforme serie ed incisive, che si sono finora inceppate sui banchi del Parlamento. Ma le riforme non bastano. Come suggerisce nel suo libro-testimonianza un vecchio cronista (Goffredo Buccini) che ha seguito tutte le inchieste di Mani Pulite, “servono molte discrete ore di educazione civica in classe”, per riavviare appunto, coinvolgendo pure le nuove generazioni, qualche orologio rimasto fermo all’ora di trent’anni fa.

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Antonio Lovascio

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