Quale riforma della Chiesa? Un convegno a Firenze per «pensare insieme»
di Alessandro Clemenzia · La Chiesa non può né svilupparsi né tantomeno essere compresa se non in stretta relazione con le coordinate storiche in cui vive ed è vissuta e a partire dalle forme strutturali che essa via via assume e ha assunto per rispondere alle sempre nuove esigenze dell’umanità.
forma Christi).
Come mostra la sua stessa bimillenaria storia, la Chiesa è «semper reformanda», non soltanto in quanto essa vive dentro uno sviluppo storico, che di per sé è sempre dinamico, ma anche perché in essa Cristo stesso si rende presente, facendosi così contemporaneo di ogni credente, e le fa sperimentare quell’assoluta novità di vita che scaturisce dall’incontro con Lui. Per questa ragione è molto poco preciso un comune e in auge modo di dire (che esprime certamente una mentalità, soprattutto in ambienti ecclesiastici) di chi sostiene che “questo sia il tempo della riforma della Chiesa”. Essendo quest’ultima sempre reformanda, sarebbe necessario e più opportuno domandarsi quale riforma della Chiesa sia oggi necessaria perché essa possa rimanere sempre fedele e obbediente al Cristo vivente oggi, attraverso le diverse circostanze in cui è inserita, senza cadere nel tentativo di volersi strutturare secondo un ipotetico mito idilliaco delle origini cristiane.
E proprio per rispondere a questo interrogativo è stato organizzato un convegno dalla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale (Firenze), intitolato «Quale riforma della Chiesa?» Da una precisa modalità di intendere la “riforma” scaturisce anche un differente modo di comprendere alcuni altri termini, correlati ad essa, che sono ormai entrati nel linguaggio comune a livello universale di Chiesa, come ad esempio il lemma “sinodalità”.
Il convegno, previsto per il 24 novembre p.v., vede la partecipazione di quattro relatori.
La prima relazione, tenuta dal politologo Lorenzo Ornaghi, già rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è intitolata Chiesa e modernità. Il “sistema” della democrazia: governo, autorità e rappresentanza. In essa viene affrontato il complesso rapporto tra Chiesa e democrazia, su cui diversi studiosi si sono già incontrati e scontrati lungo gli ultimi decenni. La grande questione in gioco non è tanto quella di discutere su un eventuale o meno processo di democratizzazione delle strutture ecclesiali, per inverare quella tanto auspicata riforma della Chiesa, ma – soprattutto da parte di teologi ed ecclesiologi – quella di comprendere che non si può assumere un termine, quale appunto democrazia, a prescindere dai diversi modelli esistenti. Si dovrebbe eventualmente cercare un modello di democrazia capace davvero, non soltanto di rispecchiare la vera natura ecclesiale, ma anche di far sì che vi sia una reale partecipazione di tutto il Popolo di Dio alla vita della Chiesa (partecipazione che, ad esempio nella vita politica, si vede sempre più carente).
, interviene l’ecclesiologo Miguel de Salis, il quale mostra come dietro il medesimo termine di “riforma” gli studiosi alludano a significati realmente differenti tra loro. Questo richiede, ogni qualvolta ci si accinga a parlarne, di spiegare bene all’interno di quale orizzonte teologico ci si vuole porre. Attraverso una panoramica dei diversi modi di intendere “riforma” nell’attuale letteratura ecclesiologica, il relatore intende presentare quegli elementi che, a suo avviso, risultano decisivi per un’interpretazione ontologicamente ed epistemologicamente fondata.
La molteplicità di significati che vengono attribuiti al termine “riforma” sembra apparentemente che abbia delle implicazioni unicamente sul piano delle strutture ecclesiali, come se il discorso riguardasse unicamente queste ultime. Dietro ad ogni tentativo di riforma vi è una particolare visione antropologica. Questo è il tema trattato nell’intervento di José Granados, da molti anni impegnato nella ricerca teologica, il quale intende soffermarsi proprio su questo aspetto nella terza relazione: Quale Chiesa per riformare l’uomo? L’imago Dei e l’Eucaristia. Il nesso tra ecclesiologia e antropologia, che trova in Cristo il suo punto di convergenza e di irradiazione, è indissolubile: questo spiega, sia come una riforma di Chiesa sia tutt’altro che astratta, in quanto ha delle ripercussioni immediate anche sulla visione di ogni uomo e donna, sia come dietro alcune proposte che sembrano occuparsi unicamente di processi di riforma strutturale si nascondano diverse prospettive antropologiche.
Tutti questi temi, di grande attualità, devono comunque fare i conti con la realtà all’interno della quale la Chiesa vive. Come impostare un discorso rigoroso sul rapporto tra Chiesa e realtà ad essa contemporanea è tutt’altro che scontato. Spesso, anche nella letteratura teologica contemporanea, viene affermato che la comunità dei credenti è costantemente chiamata a obbedire ai segni dei tempi, fondando tale affermazione sull’insegnamento del Concilio Vaticano II. Ma non è questo quanto emerge nei testi conciliari, in quanto ciò che viene chiesto è di «scrutare i segni dei tempi alla luce del Vangelo», riconoscendo per grazia, anche in ciò che apparentemente non ha a che fare con Dio, la Sua presenza oppure anche la sua assenza all’interno di esperienze moralmente buone. Di questo intende trattare l’ultima relazione, intitolata Chiesa e interpretazione eucaristica della realtà, tenuta dal teologo tedesco Achim Buckenmaier, il quale si propone di mostrare l’incidenza dell’evento cristologico dell’incarnazione sulla realtà e sul modo di interpretare quest’ultima.