di Alessandro Clemenzia · «La Chiesa è Chiesa solo se esiste per gli altri». Queste parole di Dietrich Bonhoeffer, tratte dal testo Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, possono essere d’aiuto per entrare nel significato di alcuni termini oggi molto usati (e spesso abusati), quali “ministeri” e “ministerialità”. Non si tiene sufficientemente conto, molto spesso, che si tratta di lemmi polisemantici: ciò richiede, ogni qualvolta ci si accinga a parlarne, di fare un’adeguata explicatio terminorum, per spiegare il significato che si intende assumere, evitando in questo modo di cadere in una diffusa equivocità di contenuti.
È necessario, prima di tutto, distinguere tra i differenti ministeri (al plurale) e la ministerialità della Chiesa (al singolare). Il rapporto tra loro può essere spiegato attraverso la relazione tra sacramenti e sacramentalità: recuperando l’incipit della Lumen Gentium, la Chiesa amministra i sacramenti in quanto Essa stessa è sacramento; analogamente, la Chiesa conferisce diversi ministeri in quanto essa stessa è ministeriale. Scrive, infatti, il Documento pastorale dell’Episcopato italiano Evangelizzazione e ministeri, «i battezzati partecipano, a diverso titolo, a tale ministerialità prima e fondamentale della Chiesa» (n.1).
I differenti ministeri ecclesiali, dunque, vengono conferiti in virtù della ministerialità della Chiesa, e quest’ultima (recuperando sempre il documento già citato, n. 29) trova origine e forma nella ministerialità di Cristo pastore, servo e sacerdote, così come – tornando a quanto afferma la Lumen Gentium – la sacramentalità della Chiesa è tale solo in relazione al Sacramentum primordiale, e cioè a Cristo stesso.
Paolo VI, nel Motu proprio Ministeria quaedam, afferma che «fin dai tempi più antichi furono istituiti dalla Chiesa alcuni ministeri al fine di prestare debitamente a Dio il culto sacro e di offrire, secondo le necessità, un servizio al popolo di Dio. Con essi erano affidati ai fedeli, perché li esercitassero, degli uffici di carattere liturgico e caritativo a seconda delle varie circostanze». Viene qui spiegato come la dimensione ministeriale appartiene alla natura della Chiesa, e non è semplicemente una risposta pastoralmente efficace per far fronte alla crisi vocazionale all’Ordine sacro. La finalità dei ministeri è quella «di prestare debitamente a Dio il culto sacro e di offrire, secondo le necessità, un servizio al popolo di Dio». La ministerialità, dunque, se da una parte mette in luce il riferimento cristologico del ministro, dall’altra fa emergere il suo carattere propriamente relazionale, in quanto il ministro non lo è per se stesso, ma “per” il Padre e “per” i fratelli e sorelle. Il servizio ai fratelli, inoltre, avviene «secondo le necessità». Il documento della CEI, I ministeri nella Chiesa, afferma: «La Chiesa, così orientata, e sollecitata anche dalla situazione attuale della sua vita nel mondo contemporaneo, …» (n. 1). Questa “sollecitazione” indica che la Chiesa è comunque sempre chiamata a confrontarsi con le esigenze del contesto sociale in cui vive, scrutando i segni dei tempi.
La ministerialità della Chiesa indica, inoltre, che «la missione è unica, molteplici sono i ministeri» (Apostolicam actuositatem n. 2). Il documento Evangelizzazione e ministeri afferma: «Il raggiungimento dell’ideale descritto e la realizzazione di una Chiesa tutta ministeriale sono condizionati alla acquisizione, in ognuno, di una coscienza diaconale o di servizio. Il cristiano non può vivere né per sé né a sé. È un membro» (n. 90). I ministeri, dunque, possono essere esercitati da tutti i battezzati, per vivere quella piena e attiva partecipazione ecclesiale nel proprio ambito familiare, lavorativo, relazionale, senza per questo dover ricoprire funzioni ecclesialmente riconosciute.
La Chiesa ha promosso quei ministeri che esprimono e servono i tre pilastri attraverso cui Cristo continua a sorreggerla e a edificarla: la parola, la celebrazione dei sacramenti e la carità. Pensare ad una ministerialità legata ad altre forme potrebbe portare ad una “ministerializzazione” di ciò che, per sua natura, appartiene già alla vocazione del laico.
Il Concilio Vaticano II e il Magistero pontificio postconciliare, insieme al ministero ordinato (episcopato, presbiterato e diaconato), hanno voluto ristabilire, distinguendoli tra loro, i ministeri istituiti, i ministeri di fatto e i ministeri straordinari. I primi, conferiti mediante un atto liturgico, sono il Lettorato e l’Accolitato; i secondi, invece, esercitati in modo temporaneo, sono destinati a coloro che «senza titoli ufficiali compiono, nella prassi pastorale, consistenti e costanti servizi pubblici alla Chiesa» (Evangelizzazione e ministeri, n. 67); i terzi, infine, sono di supplenza in quei luoghi in cui, per vari motivi, manca una presenza di lettori e di accoliti.
È nella ministerialità della Chiesa che viene dischiuso il significato più profondo dei singoli ministeri, ed essa trova in Cristo il suo unico centro di riferimento esistenziale e interpretativo. I singoli ministeri, manifestazione della ministerialità della Chiesa e continuazione nella storia della ministerialità di Cristo, trovano in riferimento al Padre e nel servizio alla comunità i loro connotati essenziali, all’interno della propria vocazione, nella certezza, come scrive Papa Francesco nel Motu proprio Antiquum ministerium, che «lo Spirito chiama anche oggi uomini e donne perché si mettano in cammino per andare incontro ai tanti che attendono di conoscere la bellezza, la bontà e la verità della fede cristiana» (n. 5).
È opportuno, proprio a scanso di equivoci sempre più numerosi, spiegare cosa si intenda per ministeri e ministerialità quando si usano questi lemmi polisemantici, tenendo presente inoltre la necessaria distinzione tra corresponsabilità di tutti i battezzati nell’unica missione della Chiesa, che non ha bisogno di alcun mandato ecclesiale, e collaborazione di alcuni alla ministerialità, che invece viene conferita dall’autorità della Chiesa e non può essere oggetto di alcuna rivendicazione.