di Alessandro Clemenzia · L’unità è davvero un termine su cui la Chiesa continua incessantemente a riflettere, non soltanto come obiettivo da raggiungere, ma anche come “metodo” per comprendere nell’oggi che cosa è chiamata a vivere. Si tratta di una parola che è stata al centro del dibattito ecclesiale sin dai primi secoli, quando la comunità cristiana aveva dovuto fare i conti con la Trinità di Dio, con il paradosso del rintracciare proprio nell’umanità di Cristo il suo essere veramente Dio, e ancora nell’affrontare la natura della Chiesa tra l’essere-una e la molteplicità delle sue espressioni locali. Non solo, la comunità cristiana ha anche dovuto fare i conti con l’universalità dell’offerta della salvezza; infatti, il «perché tutti siano una cosa sola» doveva contenere in sé (come criterio costante) una distinzione profonda, quella tra il Padre e il Figlio: «Perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te» (Gv 17,21).
E ancora, lungo i secoli, la Chiesa ha dovuto fare anche i conti con l’esistenza di altre Chiese, e imbattersi così in un cammino che, non soltanto rimarginasse le ferite delle divisioni, ma soprattutto portasse a una nuova comprensione dell’unità, capace di accogliere in sé la distinzione.
L’unità, insomma, non è una parola come tante altre: ha una storia che si intreccia con quella della Chiesa, anche se è precedente alla nascita di quest’ultima. Alla luce di Cristo, infatti, la comunità cristiana ha avuto tra le mani un concetto precedente di unità, di provenienza ellenistica, colta come “contrario” della distinzione.
Papa Francesco, nel suo discorso rivolto (lo scorso 3 giugno) alla delegazione di giovani sacerdoti e monaci di Chiese ortodosse orientali, ha offerto alcuni termini attraverso i quali è possibile raggiungere un significato autentico di “unità”, in relazione al cammino ecumenico tra le Chiese. In riferimento alla vicina Solennità di Pentecoste, Francesco ha presentato quattro parole realmente legate all’unità: dono, armonia, cammino, missione.
In primo luogo, l’unità è un dono. Nonostante siano necessari per il suo raggiungimento l’impegno e la buona volontà, spiega il Papa, non si può ridurre l’unità a un frutto della terra; essa viene dal cielo, come la Pentecoste stessa insegna. Non è una questione politica di accordi o di compromessi su temi religiosi, e neanche un semplice atteggiamento di rispetto umano verso l’altro: è, invece, una grazia che viene dall’alto, e dunque chiede, prima di ogni sforzo, l’assunzione di un atteggiamento di vera accoglienza.
In secondo luogo, l’unità è armonia. Contro ogni tendenza all’uniformità, l’unità implica la distinzione, proprio in quanto essa è il frutto della molteplicità; non solo, l’unità è anche il motore interno alla distinzione, in quanto è il modo attraverso cui i singoli elementi possono relazionarsi tra loro. Un esempio di armonia il Papa lo ha rintracciato, nel tempo di Pentecoste, proprio nella diversità dei carismi: dunque, non soltanto l’unità è dono dello Spirito, ma lo è anche la distinzione. Per questo «l’armonia è la via dello Spirito, perché Egli stesso, come dice San Basilio il Grande, è armonia».
Il terzo termine è cammino. Esso indica che non è qualcosa che si costruisce a tavolino, non è una statica intesa tra le parti, ma segue il dinamismo dello Spirito, e dunque si costruisce cammin facendo. Ciò richiede un atteggiamento di pazienza e perseveranza, in quanto i risultati non sono un miracolo improvviso o qualcosa di eclatante che si ottiene al termine di un percorso, ma risiedono proprio nel camminare insieme, nella semplicità offerta dal vivere ciascuno la propria quotidianità.
Ultimo termine è missione; quest’ultima “apre” l’unità, non la rende fine a se stessa, in quanto è intrinsecamente legata alla fecondità dell’annuncio, come Gesù stesso ha pregato: «Tutti siano una sola cosa … perché il mondo creda» (Gv 17,21). Questo è il vero frutto della Pentecoste: l’apertura universale della Chiesa, una testimonianza che chiede di vivere un costante atteggiamento di dedizione agli altri: in questo consiste il vero martirio.
A conclusione del suo saluto, terminata la descrizione di questi quattro punti, Papa Francesco ha offerto un ulteriore spunto per comprendere il significato di unità, riconducendo i partecipanti a quell’evento che ha definito «l’altare dell’unità», vale a dire il legno della croce. Egli ha affermato: «La croce di Cristo sia la bussola che ci orienta nel cammino verso la piena unità. Perché è su quel legno che Cristo, nostra pace, ci ha riconciliati, radunando tutti in un popolo solo (Ef 2,14). E allora dispongo idealmente sui bracci della croce, altare dell’unità, le parole che ho voluto condividere con voi, quasi come quattro punti cardinali della piena comunione, che è dono, armonia, cammino, missione».
Se la missione è il fine dell’unità, la croce ne è la forma: certamente poco desiderabile per ciascuno, essa rimane il luogo in cui – nel dramma della lacerazione e del peccato di ogni creatura – si è consumata e rivelata pienamente l’unità che Cristo ci ha donato.