di Andrea Drigani · Nel mese di marzo su questa Rivista ho scritto un articolo («Stato laico e Medio Oriente nel pensiero del cardinale Louis Raphaël Sako») nel quale commentavo un’intervista al Patriarca di Babilonia dei Caldei, che risiede a Bagdad, dove il porporato affermava che lo Stato laico era la soluzione per i problemi dei Paesi del Medio Oriente, rilevando che lo Stato laico è la fine del settarismo, notando, altresì, che l’Islam politico puntasse a fondare uno Stato teocratico, che tuttavia non può funzionare. Il cardinale Sako osservava, inoltre, che la religione e lo Stato sono due campi distinti, in quanto la religione ha principi, la politica ha interessi, purtroppo spesso personali e particolari. Il Patriarca concludeva dicendo di essere per uno Stato «civile», basato sulla cittadinanza, che abbia come obbiettivo l’integrazione e il servizio di tutte le sue componenti senza distinzione alcuna. Nel medesimo articolo rammentavo anche l’allocuzione di Pio XII del 23 marzo 1958 nella quale, tra l’altro, si faceva presente che la legittima sana laicità dello Stato era uno dei principi della dottrina cattolica, ulteriormente ribadito dalla Costituzione conciliare «Gaudium et Spes» al paragrafo 76. Tali riflessioni mi sono venute alle mente quando lo scorso 10 luglio il presidente della Repubblica di Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ha revocato il decreto del suo predecessore Mustafà Kemal Atatürk (1881-1938) che il 21 novembre 1934, aveva trasformato Santa Sofia, allora moschea, in un museo, ripristinando pure i mosaici cristiani. L’attuale edificio della basilica di Santa Sofia, dedicato al culto cattolico, era stato costruito nel 537, per volontà dell’imperatore romano d’Oriente Giustiniano, ma all’indomani della caduta di Costantinopoli nel 1453 il sultano Mehmet II lo fece diventare moschea e tale rimase fino alla suddetta decisione del presidente Atatürk. Questa determinazione si inquadrava in una forte politica di laicizzazione voluta da Atatürk per demolire lo Stato confessionale islamico e più in generale il ruolo dell’islam nella vita sociale e giuridica della Turchia. Atatürk abolì il califfato e abrogò ogni norma o pena che si richiamava alla legge islamica introducendo il codice civile e penale di origini occidentali. Le riforme di Atatürk, che concernevano anche la proibizione di simboli e abiti religiosi, suscitarono perplessità e resistenze da parte del Patriarcato ecumenico ortodosso di Costantinopoli, mentre l’allora Delegato Apostolico in Turchia, l’arcivescovo Angelo Giuseppe Roncalli, comprese che tali decreti non erano contro i cristiani, peraltro un’esigua minoranza in Turchia, quindi potevano essere accolti anche come forieri di una qualche forma di libertà di culto. La scelte politiche di Erdogan, di cui la nuova islamizzazione di Santa Sofia è il simbolo, sono il rinnegamento totale della impostazione di Atatürk, per tentare di restaurare l’impero ottomano. Il piano politico di Erdogan crea grandi difficoltà sia per quanto attiene allo sviluppo delle relazioni internazionali come pure al dialogo interreligioso. Uno Stato confessionale, su qualsiasi religione si fondi, va inevitabilmente verso una deriva autoritaria se non totalitaria, dove i diritti umani sono scarsamente tutelati e anche compressi, non sussistendo alcuna garanzia giuridica, in quanto non si realizza quello che si denomina «Stato di diritto». In tali condizioni i rapporti internazionali, che dovrebbero favorire il rispetto dei diritti dell’uomo nel primato dei valori politici sugli interessi economici, rischiano di divenire solo contratti commerciali col rischio di rafforzare i regimi antidemocratici e non promuovere il retto ordine tra le nazioni e la pace. Per quanto riguarda il dialogo interreligioso è da rilevare, come già osservava il cardinale Sako, che l’Islam divenendo soverchiamente politico, rende assai complicati e ardui i rapporti, poichè essi appaiono non più tra confessioni religiose, bensì tra confessioni religiose e istituzioni statuali, dove l’elemento politico prevale di gran lunga su quello teologico. Il decreto di Erdogan (che qualcuno, non a caso, definisce il sultano) su Santa Sofia si contrappone, giova ribadirlo, al decreto di Atatürk, non può non preoccupare e addolorare in quanto è un duro colpo inferto al diritto alla libertà religiosa e ad una sana teoria dello Stato.