di Alessandro Clemenzia · “Non dalla Chiesa si può ricavare un’intelligenza della missione, bensì dalla missione un’intelligenza della Chiesa”. Queste parole di Jürgen Moltmann (Kirche in der Kraft des Geistes, p. 23) illustrano chiaramente come l’autocoscienza ecclesiale cambi di tempo in tempo proprio per il diverso volto che la missione assume in relazione al mondo.
Tale premessa aiuta a introdursi all’interno dell’importanza che l’odierno magistero conferisce alla missionarietà come esperienza comunitaria capace di generare la Chiesa attraverso uno sguardo rivolto al tempo contemporaneo. Per questo, secondo Francesco, è importante avviare il processo di una ri-forma della Chiesa, per l’esistenza di «strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore» (EG 24).
Il messaggio che il Papa ha inviato, lo scorso 21 maggio 2020, alle Pontificie Opere Missionarie (POM) è un invito a cogliere la missione come nucleo fondamentale dell’odierna autocoscienza ecclesiale, alla luce, naturalmente, del contesto culturale e sociale in cui la Chiesa si trova a vivere. Partendo dall’evento dell’ascensione, dove gli apostoli tornarono «pieni di gioia» a Gerusalemme (cf. Lc 24,52) in attesa di quel dono dello Spirito che, nel giorno di Pentecoste, avrebbe realmente cambiato le cose, Francesco sottolinea come l’efficacia della missione ecclesiale è garantita dall’azione dello Spirito Santo: «Quando nella missione della Chiesa non si coglie e riconosce l’opera attuale ed efficace dello Spirito Santo, vuol dire che perfino le parole della missione – anche le più esatte, anche le più pensate – sono diventate come “discorsi di umana sapienza”, usati per dar gloria a se stessi o rimuovere e mascherare i propri deserti interiori». La missione della Chiesa, dunque, è intimamente connessa con le missioni trinitarie del Figlio di Dio e dello Spirito Santo: muoversi in questo ambito non vuol dire speculare teologicamente sulle dinamiche sociologiche, ma ritenere che «la salvezza non è la conseguenza delle nostre iniziative missionarie, e nemmeno dei nostri discorsi sull’incarnazione del Verbo. La salvezza per ognuno può accadere solo attraverso lo sguardo dell’incontro con Lui, che ci chiama». L’azione missionaria, dunque, consiste nell’attestare, con la sua stessa esistenza, l’opera di qualcun Altro: in questo dinamismo “relativo” consiste la sacramentalità della Chiesa.
Ed è proprio attraverso le opere compiute dallo Spirito Santo nella compagine ecclesiale, che si può arrivare a una qualche conoscenza dell’identità della Terza persona divina: «È lo Spirito che accende e anima la missione, le imprime dei connotati “genetici”, accenti e movenze singolari che rendono l’annuncio del Vangelo e la confessione delle fede cristiana un’altra cosa rispetto ad ogni proselitismo politico o culturale, psicologico o religioso». La realtà che, nella Chiesa, ha il “fiuto” per riconoscere l’azione del Pneuma divino è il Popolo di Dio: quest’ultimo, in virtù dell’unzione, ha un “istinto” della fede – denominato sensus fidei – che lo rende infallibile “in credendo”.
Se il mondo è il destinatario della missione, dunque, il santo Popolo di Dio deve essere il primo interlocutore dell’azione missionaria.
Strumento a servizio del ministero petrino, che presiede nella carità, a sostegno di tutte le chiese locali soprattutto per quanto concerne l’annuncio del Vangelo, le POM, con la loro stessa azione, «hanno smentito gli argomenti di chi, anche negli ambienti ecclesiastici, contrappone in maniera impropria carismi e istituzioni, leggendo sempre i rapporti tra queste realtà attraverso una ingannevole “dialettica dei principi”. Mentre nella Chiesa anche gli elementi strutturali permanenti – come i sacramenti, il sacerdozio e la successione apostolica – vanno continuamente ricreati dallo Spirito Santo, e non sono a disposizione della Chiesa come un oggetto di possesso acquisito».
Riconoscere il primato dell’azione dello Spirito attraverso uno sguardo rivolto sul Popolo di Dio e il rimembrare che il destinatario è sempre il mondo, chiede certamente alle strutture ecclesiali, soprattutto quelle costituite in funzione dell’azione missionaria, di recuperare una dinamicità relazionale tale, da non farle ripiegare sulla celebrazione e la promozione di se stesse. L’autoreferenzialità, a cui spesso allude il Papa, ha delle immediate ripercussioni sul modo in cui la Chiesa pensa se stessa; citando le parole del cardinale Joseph Ratzinger, contenute in una relazione titolata Una compagnia sempre riformanda, scrive Francesco: «Per queste vie si alimenta anche l’idea ingannevole che una persona sia tanto più cristiana quanto più è impegnata in strutture intra-ecclesiali, mentre in realtà quasi tutti i battezzati vivono la fede, la speranza e la carità nelle loro vite ordinarie, senza essere mai comparsi in comitati ecclesiastici e senza occuparsi degli ultimi sviluppi di politica ecclesiastica». La vita ordinaria, dunque, è il luogo in cui il Vangelo incontra le persone ed è il primo “territorio” di missione.
La Chiesa, dunque, nel presente e nel futuro, se vive lo slancio missionario come azione informante e performante dello Spirito, non potrà mai essere né rigida né statica.