di Carlo Nardi • Sono motivi di vita cristiana le parole della cosiddetta Secunda Clementis, ossia la Seconda lettera che il papa Clemente primo avrebbe scritta ai cristiani di Corinti. Perché avrebbe? Perché il condizionale? Mi spiego. Circa la Prima lettera c’è una considerevole certezza che Clemente ne sia effettivamente l’autore nel 96 d.C., suffragato da rilevanti testimonianze. Invece la Seconda lettera sembra opera più recente per una esortazione del terzo secolo ad una vita evangelica.
Ora, in questa Seconda lettera ho trovato una pagina significativa: non una quelle lamentazioni in “tempi calamitosi”, dove tutto sarebbe andato male in confronto con chissà quale tempo che fu in cui tutto sarebbe stato rose e fiori; ragionamenti, insomma, che, come la nebbia, lasciano il tempo che trovano. Invece, in questo documento dei primi secoli cristiani ci son parole saporose.
«Dice il Signore: Il mio nome è continuamente disonorato fra tutti i popoli (Is 52,5; cf. Rm 2,24), e ancora: Guai a colui per il quale è disonorato il mio nome. Ma in che cosa è disonorato? Nel fatto che voi non fate quello che io voglio da voi. I popoli pagani, infatti, ascoltano le parole di Dio dalla nostra bocca e le apprezzano perché le avvertono come belle e grandiose. Poi, però, vengono a conoscenza delle nostre opere, come se dicessero che non sono all’altezza delle parole che noi diciamo e da questo passano a gettare disonore su tutto, col dire che son tutte novelle e bugie. Di fatto, sentono parlare da noi che Dio dice: Non c’è nulla di speciale da parte vostra, se volete bene a quelli che vi vogliono bene, ma quello che è speciale per voi è se volete bene a chi ce l’ha con voi e vi vuole male (Lc 6,32); ed è quando sentono dire di queste cose, apprezzano come straordinaria quella bontà.
Però, quando si rendono conto che noi non solo non vogliamo bene a quelli che ci vogliono male, ma neppure a quelli che ci vogliono bene, si mettono a ridere di noi, e così viene disonorato il nome» ([Clemente di Roma?], Seconda lettera ai Corinzi 12), ossia il nome santo di Dio e, di conseguenza, il nome cristiano. Vale a dire l’essere cristiani.
Ho tradotto così dal greco, e tradurre è sempre un cercare di trasbordare da una lingua a un’altra il meglio possibile. Se – e vi invito a fare una prova – al posto del verbo disonorare o gettare disonore su mettete sputtanare, oltre ad evitare un perbenismo linguistico non immune da ‘devote’ infiltrazioni mafiose, c’è il caso che si renda meglio quello che intendeva dire, se non papa Clemente, piuttosto qualcuno per lui.
Se ci avete provato, ecco ora una preghierina, perché piccina, perché breve: una del messale, per la quindicesima domenica del tempo ordinario, che mi pare in tono con quel che si è letto: «O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per Cristo nostro Signore» (Deus, qui errantibus, ut in viam possint redire, veritatis tuae lumen ostendis, da cunctis qui christiana professione censentur et illa respuere quae huic inimica sunt nomini et ea quae sunt apta sectari. Per Christum Dominum nostrum. Amen).
E la preghiera è tutt’altro che una preghierina, quanto a contenuto, anche se prova della parolaccia non l’avete fatta.