Il giudizio di Cristo sulla storia degli uomini

220px-BambergApocalypseFolio013vLambAndBookWith7Sealsdi Stefano Tarocchi • Il libro dell’Apocalisse descrive con lucidità estrema la scena dell’abbraccio finale tra l’umanità e Dio: siamo nella visione del sigillo sopra i centoquarantaquattromila (dodici per dodici per mille), rappresentanti delle dodici tribù d’Israele che ha fatto versare fiumi d’inchiostro. Il numero significa la totalità (mille) dell’antico (il primo dodici) e del nuovo Israele (la chiesa di Cristo, il secondo dodici).

Il linguaggio è naturalmente quello tipico del libro della rivelazione di Giovanni – “apocalisse” significa esattamente questo –, ma il tema è percorso nella lunga sezione del vangelo di Matteo che descrive gli avvenimenti dei tempi ultimi.SMat

La vigilanza è quella di chi (il servo «servo buono e fedele») ha fatto fruttare ogni dono ricevuto – ecco così nel seguito del racconto di Matteo la parabola dei talenti (Mt 25,14-30) –, a differenza del servo «malvagio e pigro (Mt 25,26). Naturalmente il “talento” evangelico indicava una moneta assai preziosa del tempo. Pare infatti che un “talento” equivaleva a seimila denari, cioè al salario di seimila giornate lavorative: ovvero fino a venti anni di lavoro.

Egli separerà come il pastore le “pecore” dai “capri” – la traduzione CEI (“capre”) non è esatta –: infatti, solo le prime devono essere munte. Analogamente non può esserci nessun contatto con coloro che vengono chiamati alla destra del Figlio dell’uomo – i benedetti del Padre – a ricevere il regno che è stato preparato per loro fino dalla creazione del mondo e gli altri, alla sinistra.

Il racconto si distende attraverso sette elementi diversi, e tuttavia coerenti fra sé e perfettamente misurabili con le esperienze dei nostri giorni: la fame, la sete, la condizione di straniero, la nudità, la malattia e il carcere. In particolare, il dar da mangiare agli affamati e il vestire gli ignudi, particolari opere di misericordia, sono menzionate particolarmente nella letteratura profetica, e non solo nella religione ebraica…

Successivamente la narrazione evangelica racconta la condizione di coloro che non hanno saputo accogliere le situazioni disagiate dei loro fratelli. La risposta di questi è eloquente è eloquente quanto senza speranza: quando mai ti abbiamo visto in quelle condizioni e non ti abbiamo servito? Il verbo usato qui è quello del servizio ecclesiale, ossia la diakonìa.

Voglio concludere richiamando la prima lettera di Giovanni: «se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20). È la medesima logica che si evidenzia già nel Padre nostro: «rimetti a noi i nostri debiti come noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori» (Mt 6,12).