di Carlo Parenti • Affronto sinteticamente il percorso di alcuni uomini della nostra amata Chiesa Cattolica che nati tridentini, cioè formatesi in una Chiesa forgiatasi quasi come immutabile nel concilio tenutosi a Trento dal 1545 al 1563, hanno anticipato nel pensiero e nell’azione il Concilio Vaticano II del XX secolo. Concilio nel cui solco innovatore si colloca oggi nel XXI secolo la coraggiosa spinta riformatrice di papa Francesco.
Don Giulio Facibeni è una di queste figure. Per dirla con il compianto don Carlo Zaccaro (in Osservatore Toscano del 4 maggio 2006): «La profezia di don Facibeni è costituita dall’annuncio, in tempi ancora lontani dal Concilio, di una nuova linea pastorale nella quale il sacerdote diventa il testimone della paternità di dio e lui stesso padre […] Egli realizzava il munus apostolicum del sacerdote secondo il Vangelo, rimanendo immerso nelle attese e nei bisogni della povera gente e nella speranza missionaria di salvezza della nostra Santa Chiesa. In una comunità presbiterale, missionaria, don Facibeni ha cercato anticipando di anni, lo slancio e la franchezza per l’evangelizzazione dei più poveri in una fedele lettura dei segni dei tempi». Evangelizzazione dei poveri, degli ultimi, che passava dalle parrocchie, specie di periferia. Oggi però questa periferia non è solo geografica, ma è antropologica e esistenziale. È laddove si perde il senso della vita reale – sostituita da una falsa virtuale esperienza – e dove si affacciano le nuove povertà, materiali e spirituali. Francesco insegna. Furono uomini come il cardinal Lercaro e don Giuseppe Dossetti che riuscirono (anche ben conoscendo il Padre e esperienze quali quelle della Madonnina del Grappa o del Prado) a farsi veicolo per introdurre nei testi conciliari, con solo i pochi richiami consentiti dai tempi, il discorso della Chiesa povera e dei poveri a partire dal mistero del Cristo povero. Tutto da studiare sarebbe il rapporto tra Lercaro e Facibeni che si conoscevano bene. Sia don Zaccaro, sia don Corso Guicciardini mi hanno riferito di incontri tra i due. Giacomo Lercaro (1891-1976) fu dal 1952 al 1968 Arcivescovo di Bologna. Cardinale nel 1953. Dal 1962 partecipò ai lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II. Membro dal 1963 della commissione per il coordinamento dei lavori del Concilio diventò nello stesso anno uno dei quattro moderatori del Concilio medesimo. Dossetti, costituente con Lazzati e La Pira, vicesegretario della Dc con De Gasperi, poi presbitero, partecipò al Concilio come segretario del collegio dei citati moderatori. Con Facibeni ebbe un rapporto strettissimo tanto che per la Madonnina del Grappa fu consulente nella redazione delle bozze delle Costituzioni dell’Opera.
Per trovare dunque il primo riferimento, che si deve a Lercaro e Dossetti, alla Chiesa povera, occorre riferirsi all’ottavo punto del capitolo I della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, la Lumen Gentium:
“Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo «che era di condizione divina… spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo» (Fil 2,6-7) e per noi «da ricco che era si fece povero» (2 Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione. Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre «ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito» (Lc 4,18), «a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo. Ma mentre Cristo, «santo, innocente, immacolato» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr. 2 Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr. Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento».”
Spogliarsi; farsi poveri; diffondere con l’esempio; riconoscere nei poveri e nei sofferenti l’immagine di Gesù. È cioè la strada di carità già percorsa da Giulio Facibeni annullatosi per farsi strumento del Signore; dal suo successore Corso Guicciardini; da papa Francesco. È l’istanza evangelica della povertà, non solo come ideale di vita personale, ma come strada obbligata dell’annuncio evangelico della Chiesa tutta. Solo una Chiesa che ha il suo riferimento nei poveri potrà essere lievito di una storia che cresce in dimensione messianica.
Papa Francesco ci ricorda (quali belle assonanze coi temi facibeniani ) – nell’esortazione apostolica Gaudete et Exsultate (Rallegratevi ed esultate) sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo – il valore della povertà, di spirito e materiale. In particolare mi riferisco ai punti 68-70.
Per approfondire il tema da me introdotto consiglio la lettura del libro dell’attuale arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice: Dossetti e Lercaro. La Chiesa povera e dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano II, Paoline 2011 (con prefazione di Giuseppe Ruggieri).