di Gianni Cioli • Fabio Rovazzi, classe 1994, è uno youtuber, produttore, sceneggiatore, regista e interprete (attore e cantante) di corti che abbinano immagini, musica e testi cantati. Nel 2016 ha pubblicato il videoclip di debutto Andiamo a comandare, con cui, interpretando l’omonima canzone che ha raggiunto la vetta della “Top Singoli” esclusivamente attraverso lo streaming. A questa opera prima sono seguiti i successi dei noti video musicali Tutto molto interessante e Volare, quest’ultimo con la godibile partecipazione di Gianni Morandi.
Il suo più recente lavoro, Faccio quello che voglio, ha tutte le credenziali per replicare i successi precedenti. Si distingue per il maggiore spazio concesso ai dialoghi recitati rispetto alle parti cantate (che si riducono a tre minuti sui nove della durata del video) e risulta un prodotto particolarmente raffinato per la cura della fotografia (eccellente nella risoluzione, nella luce e nel colore), per l’efficacia del montaggio (degno di un film d’azione di qualità), per il livello della recitazione, nonché per la dovizia dei mezzi utilizzati nella realizzazione. La storia è, come al solito del tutto surreale, ma più curata nella sceneggiatura; la parte musicale, sebbene ridotta, è come sempre estremamente molto accattivante; e i testi della canzone giungono qui, a mio avviso, a veicolare un messaggio particolrmente significativo, affrancandosi dal pur godibile livello del nonsense prevalente nelle opere precedenti.
Ritengo che il video di Rovazzi possa essere considerato a tutti gli effetti un opera d’arte, ovvero un lavoro in cui si armonizzano l’abilità tecnica, l’originalità, l’impatto estetico e, soprattutto, la capacità di sfidare la curiosità interpretativa del fruitore con la polisemia simbolica d’immagini e parole.
Il corto musicale, vede la partecipazione di numerosi personaggi dello spettacolo che si sono volentieri prestati al gioco recitando, cantando o soltanto facendo da comparsa. Hanno prestato la loro voce Al Bano, Emma Marrone e Nek. Sono apparsi nel video lo stesso Al Bano insieme a Gianni Morandi, Carlo Cracco, Eros Ramazzotti, Fabio Volo, Rita Pavone, Massimo Boldi, Flavio Briatore, Roberto Pedicini, Diletta Leotta, i rapper Samuel Heron e Danti e gli youtuber Homyatol e Luis Sal.
La storia inizia con la rivelazione a Rovazzi da parte di Morandi dell’esistenza di un Caveau in cui i talenti delle star, dall’aspetto fisico alla voce, sono preservati dalla temuta perdita attraverso sofisticate tecnologie che permettono di sintetizzarli e conservarli in pillole e in flaconi liquidi. Rovazzi decide di appropriarsi dei talenti con il furto. Scoperto, si dà ad una fuga rocambolesca durante la quale, grazie ai talenti rubati, assume sembianze altrui e canta con voce d’altri. Alla fine è arrestato, ma poi scarcerato su cauzione, non prima d’aver duettato con Albano (in realtà Luis Sal sotto l’effetto dei “telenti sintetici”) e d’aver assistito a un episodio di rivolta di rivolta nel carcere trasformatosi così in una sorta di disperata discoteca.
La trama, surreale e onirica, e le parole della canzone potrebbero essere, come ha azzardato qualche commentatore, una sorta di pretesto vuoto che permette a Rovazzi di dire effettivamente: «Faccio quello che voglio» (con il virtuosismo dell’artista) … «e del testo tanto non ne ho bisogno…». Si deve poi sicuramente riconoscere a Rovazzi una buona dose di autoironia, come possibile chiave interpretativa del suo lavoro: «Sono brutto e non so cantare, così ho pensato di rubare le cose che mi mancano: la voce e la bellezza», avrebbe infatti dichiarato in una intervista (video).
Ma, come hanno suggerito altri commentatori, è lecito ritenere che il simbolismo onirico della storia e l’apparente evanescenza del testo celino e rivelino piuttosto, pur senza negare l’autoironia, altri significati degni d’attenzione.
Un primo significato potrebbe essere il riferimento alla paura della perdita, da sempre presente nella cultura umana, ma particolarmente pervasivo nella società contemporanea. Si tratta di un’angoscia collegata alla paura non adeguatamente affrontata della morte e che – come è stato denunciato da autorevoli studiosi – viene spesso esorcizzata attraverso la ricerca di simboli dell’immortalità a cui si sacrificano i valori morali. Nella ricerca compulsiva di questi simboli, identificati per lo più con ricchezza, bellezza e fama, si potrebbe ravvisare una della cause del male sociale (cf, E. Becker, Escape from Evil, New York-London-Toronto-Sidney-Singapore 1975, p. 65; B. Kiely, Psicologia e teologia morale. Linee di convergenza, Casale Monferrato 1982, pp. 225-237).
Il Caveau potrebbe alludere a internet, che costudisce, ma non sempre tutela adeguatamente le idee e le produzioni dei talentuosi…, idee e opere che molti continuano a rubare e plagiare ma da cui i più finiscono poi fatalmente per essere plagiati («È tutto un copia e incolla, la moda ci controlla»). Un primo possibile rimedio potrebbe già consistere anche semplicemente nell’insegnare di nuovo e sul serio il settimo comandamento: «guarda che non si ruba eh, Rovazzi», dice un inaspettato, e garbatamente autoironico, Eros Ramazzatti al nostro protagonista, costretto a rendergli la voce.
Il fatto che i talenti siano sintetizzati e si possano assumere tramite pastiglie e bibite colorate potrebbe poi far pensare al delirio di onnipotenza («faccio quello che voglio») legato all’utilizzo delle droghe sintetiche, ad esempio nell’uso diffuso e dissennato del doping nelle competizioni sportive e nella ricerca, da parte di molti, del «fuori controllo» in discoteca attraverso l’assunzione di sostanze. Ma infondo, già internet si sta sempre più profilando come una “sostanza” che induce dipendenza, fa perdere la percezione del tempo, permette di assumere identità virtuali e «fuori controllo» con cui ingannare il prossimo e se stessi.
Il climax giunge all’apice quando Rovazzi arrestato e in cella duetta con Albano: «attirati dal male/ l’onestà non ha budget/ tutto ciò che è vietato ci piace. / Facciamo dei modelli sbagliati la normalità/ quindici minuti di celebrità». Emerge forse qui una denuncia della cultura della trasgressione diffusa nella società («tutto ciò che è vietato ci piace »), una cultura promossa e incrementata da interessi economici potenti («l’onestà non ha budget»), una cultura certo funzionale al mercato ma che segnala tragicamente il fallimento educativo di una generazione (forse ha un qualche significato che proprio l’anziano Albano puntualizzi al giovane Rovazzi: « Facciamo dei modelli sbagliati la normalità…»). La cultura della trasgressione si coniuga poi con quella della «ricerca spasmodica della notorietà a tutti i costi, il voler essere famosi anche senza nessun merito o capacità»: I «quindici minuti di celebrità» evocati da Albano – o meglio da Luis Sal sotto l’effetto dei “telenti sintetici” – fanno riferimento alla profezia fatta da Andy Warhol nel 1968: «In the future everyone will be world-famous for 15 minutes», «previsione che con il web e i social si è concretizzata tanto da essere diventata uno dei paradigmi della società 2.0, dove chiunque può sentirsi al centro della scena creando una propria nicchia di follower e il senso della parola talento è radicalmente cambiato, stravolto» (video).
Si parva licet componere magnis vorrei accostare questa lettura del video di Rovazzi a quanto scriveva il noto teologo Enrico Chiavacci nel 2007: «oggi l’affermazione del proprio io di fronte agli altri, la ricerca della ricchezza personale quasi sempre a danno degli altri […] sono elementi guida a un modello di “vita buona” largamente seminato (indotto subdolamente) dai mezzi odierni di comunicazione di massa. Una totale disattenzione verso possibili limiti morali alla propria autogratificazione […] è largamente diffusa e molti giovani (e bambini) crescono in quest’atmosfera: un’atmosfera creata ad arte a fini quasi esclusivamente economici, in cui la scuola deve insegare non a vivere ma a produrre, in cui il moltiplicarsi dell’informazione si oppone alla crescita di conoscenza e di riflessione. Dietro questo vi è un sostanziale scetticismo etico […]. I limiti vengono percepiti come coartazioni giuridiche e sociali a cui si cerca di sfuggire» (E. Chiavacci, Teologia morale fondamantale, Assisi 2007, 25-26). Chiavacci vedeva tuttavia in alcuni settori della società anche incoraggianti segnali in controtendenza.
Il video di Rovazzi non si conclude con la detenzione del protagonista e l’espiazione della sua colpa. Egli invece viene scarcerato su cauzione (pagata da un inaspettato Flavio Briatore) e – da eroe negativo fino fondo – si fa beffe del compagno di cella. La storia termina con la scritta: «To be continued». Staremo a vedere.