Don Chiavacci a San Silvestro. Da priore
Sicché, come ho scritto nella rivista Vivens homo della Facoltà teologica a Firenze (Enrico Chiavacci. Memorie personali e ispirazioni patristiche, ibid. 25 [2014], pp. 173-183), ho raccontato cose vissute tra il serio e il faceto, che mi hanno indotto a riportate i due fogli del San Silvestro News, quello del priore e l’altro, con ‘due’ parole dei due marmocchi.
[Enrico Chiavacci], Enrico e Francesco, in «San Silvestro News» n. 9 (aprile 1996), p. [1].
Enrico e Francesco.
E questi bambini sono nati e battezzati a S. Silvestro: nati da famiglie del nostro popolo, battezzati con l’acqua del Fonte battesimale su cui tutti noi la notte di Pasqua abbiamo invocato lo Spirito di Dio. Sono semplicemente bambini nostri che ormai, guidati dai loro genitori e dai loro catechisti, e domenica per domenica dal popolo tutto verso la partecipazione e la comprensione della Messa, sono arrivati al grande traguardo della prima partecipazione all’Eucarestia in seno alla comunità. Da noi sono stati educati alla fede e all’amore del Signore. Al di là della nostra breve esistenza terrena saranno loro a far vivere la Chiesa che è a S. Silvestro, saranno loro a tramettere la Parola e la vita cristiana alle generazioni che in futuro abiteranno questo nostro colle.
Noi li accompagnamo in questi giorni con la preghiera e l’affetto, e cercheremo di esser presenti alla Messa delle 11,30 di domenica 5 maggio [1996]. Ma in questa occasione io vi invito a riflettere più profondamente sul senso della nostra Messa festiva. La Messa è l’unico momento in cui ci riuniamo come popolo che crede nel Signore, in cui ci riuniamo intorno al Nostro Signore veramente presente in mezzo a noi: con la sua parola nella lettura delle Scritture e del Vangelo, col suo corpo ‘dato per noi’ nell’Eucarestia. È l’unico momento in cui le gioie e le speranze, le sofferenze e gli avvenimenti di S. Silvestro vengono messi in comune e diventano preghiera. È il momento in cui ci incontriamo, ci conosciamo, progettiamo insieme il nostro futuro.
E dunque partecipare alla nostra Messa non è tanto un obbligo esteriore, quanto prima di tutto un bisogno profondo del nostro essere, un respiro dello Spirito. Io, come vostro parroco, vi invio a non rendere vana questa grazia che ci è data.
Il priore
Se si gira pagina (p. [2]), parlano i ragazzi del catechismo.
Enrico e Francesco
Mi chiamo Francesco Montani, e il 5 maggio farò la Prima Comunione. Penso che sarà molto impegnativa. Per me fare la Comunione significa avvicinarsi di più al Signore e quindi entrare a far parte del suo mondo. Poi continuerò il mio cammino e mi piacerebbe fare l’insegnante di catechismo (meglio delle mie maestre) [povere maestre: penso a quelle della Pascoli in Via F.lli Rosselli a Sesto Fiorentino, tutte le settimane].
Mi chiamo Enrico, quest’anno farò la Prima Comunione e provo un po’ di emozione e mi immagino che sarà molto difficile. Però nonostante questo mi insegnerò ugualmente, perché fare la Comunione significa entrare a far parte del mondo del Signore. Sono molto contento perché finalmente come i miei amici [della suddetta Scuola Pascoli] parteciperò al sacrificio di Cristo.
The End
Qualche considerazione. Il soffermarsi di un’unità di paese, con fanciulli, babbi e mamme, catechisti e parrocchiali può far pensare alla cosiddetta religione civile, che di per sé è l’idea più lontana, anzi opposta alla pentecoste. E proprio Chiavacci si è battuto, col suo pensiero e non solo, per una effettiva universalità dell’umana natura e persona. Ma quei bambini non potevano essere che speciali per il prete Enrico. Ma perché speciali? Perché, semplicemente, ricevevano il Santissimo sacramento dell’altare. La cosa più semplice, la cosa più immensa, se così si può dire.