Il motu proprio «Authenticum Charismatis» per accompagnare il discernimento dei Vescovi diocesani nella decisione di erigere un istituto religioso

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di Francesco Romano • Con il motu proprio “Authenticum Charismatis” del 1 novembre 2020 Papa Francesco interviene sul Codice di Diritto Canonico introducendo una deroga al can. 579 in merito alla procedura che i Vescovi diocesani devono osservare per erigere validamente gli istituti di vita consacrata nella propria circoscrizione. La stessa norma si applica anche per erigere una società di vita apostolica ai sensi del can. 732.

Un precedente intervento sul can. 579 era stato fatto dallo stesso Pontefice con il rescritto dell’11 maggio 2016 stabilendo che la previa consultazione della Santa Sede fosse da intendersi come necessaria ad validitatem, pena la nullità del decreto vescovile di erezione dell’Istituto.

In modo puntuale ci eravamo già soffermati su questo argomento con un nostro contributo, reperibile su questa Rivista del mese di novembre 2019, sotto il titolo “Dinamismo tra Chiesa particolare e Chiesa universale nel rescritto del 2016 sull’obbligo della consultazione per erigere un istituto di vita consacrata diocesano”.

Il m.p. “Authenticum Charismatis” deroga, ovvero modifica parzialmente il can. 579 che passa dalla formulazione: “Episcopi dioecesani, in suo quisque territorio, instituta vitae consecratae formali decreto erigere possunt, dummodo Sedes Apostolica consulta fuerit” alla nuova forma “Episcopi dioecesani, in suo quisque territorio, instituta vitae consecratae formali decreto valide erigere possunt, praevia licentia Sedis Apostolicae scripto data”.

Il passo in avanti fatto dal rescritto del 2016, che stabiliva in termini di validità del decreto di erezione la previa consultazione della Santa Sede, completa il percorso con la deroga apportata dal m.p. “Authenticum Charismatis” in cui per la validità è ora richiesta la licenza scritta della Sede Apostolica. La sola consultazione, anche se obbligatoria, non era vincolante per i Vescovi.

Questi interventi sul can. 579 a tratti successivi dimostrano la necessità di offrire una sicura interpretazione ai fini della validità del decreto vescovile di erezione per la permanenza del dubium iuris che da oltre tre decenni dalla pubblicazione del Codex gravava sulla obbligatorietà della consultazione da richiedere l’intervento definitivo del Legislatore per stabilire a chiare lettere che il decreto del Vescovo diocesano è valido solo se vi è stata consultazione della Santa Sede (Rescritto, 2016) e in seguito se è stata concessa per iscritto la licenza della Santa Sede (m.p. Authenticum Charismatis, 2020).

Cambiano, quindi, in forma precettiva due requisiti diventando obbligatorio che la Santa Sede sia realmente coinvolta nella erezione di un istituto religioso e, perché questo di fatto avvenga, sia necessaria ad validitatem la licenza data per iscritto al Vescovo diocesano.

A fondamento della modifica introdotta nel can. 579, il m.p. “Authenticum Charismatis” cita il Decreto conciliare Perfectae caritatis riguardo all’autenticità dei carismi e all’affidabilità di coloro che si presentano come fondatori il cui discernimento spetta ai Pastori delle Chiese particolari e al dovere di evitare che “sorgano imprudentemente istituti inutili o sprovvisti di sufficiente vigore” (PC, 19).

La vita consacrata appartiene alla vita e alla santità della Chiesa (LG 44; cann. 207; 574 §1) e questa è la ragione che motivò nel 1983 il Legislatore universale a scrivere il can. 579 e poi, nel 2016, a puntualizzare in termini di validità la necessaria consultazione della Santa Sede da parte del Vescovo diocesano prima di erigere un istituto di vita consacrata, preservandolo anche da possibili errori dovuti tal volta a una non sufficiente competenza giuridica su questa a materia a livello di circoscrizioni.

La ratio della norma che riconosce alla competente Autorità della Chiesa di “interpretare i consigli evangelici, regolarne la prassi con leggi, costituirne forme stabili di vita ecc.” (can. 576) riflette la natura ecclesiale della vita consacrata che “appartiene fermamente alla sua vita e alla sua santità” (LG 44; can. 207 §2) dove i consigli evangelici “congiungono in modo speciale i loro seguaci alla Chiesa e al suo mistero” (can. 573 §2). Per questo la loro vita spirituale deve essere pure consacrata al bene di tutta la Chiesa. La vita consacrata appartiene alla Chiesa universale e benché ogni istituto di vita consacrata esplica la sua dimensione ecclesiale in una Chiesa particolare che si riconosce nel suo Pastore, la vita consacrata è per l’edificazione della Chiesa e la salvezza del mondo (can. 573 §1), è congiunta in modo speciale al suo mistero (can. 573 §2), appartiene alla sua vita e santità (can. 574 §1), è un dono peculiare nella vita della Chiesa (can. 574 §2), è un dono che riceve dal Signore e con la sua grazia sempre conserva (can. 575).

Il vero senso della licenza richiesta espressamente “ad validitatem” dal m.p. “Authenticum Charismatis” trova la sua giustificazione nel principio di comunione che deve sempre risplendere prima di tutto nel rapporto tra Chiese particolari e Chiesa universale. La vita consacrata è un dono fatto da Dio alla Chiesa universale, anche se materialmente un Istituto ha la sua origine a livello diocesano e a partire da esso può tendere a espandersi con la sua presenza nelle varie diocesi del mondo.

La licenza concessa dalla Santa Sede per erigere un istituto religioso offre alla Chiesa particolare il giudizio della Chiesa universale sull’unico dono ricevuto da condividere, accompagnandolo fin dal suo germoglio.

Il m.p. “Authenticum Charismatis” nella premessa alla deroga del can. 579 sottolinea che alla Sede Apostolica compete accompagnare i Pastori nel processo di discernimento che conduce al riconoscimento ecclesiale di un nuovo Istituto religioso o di una nuova Società di vita apostolica di diritto diocesano e che a essa sola compete l’ultimo giudizio e dare loro ufficialmente il riconoscimento.

Fatta salva la necessaria licenza della Santa Sede, spetterà al Vescovo diocesano emanare il decreto di erezione che unisce l’azione di governo e quella magisteriale in quanto Vescovo in comunione con il collegio episcopale che ha la prerogativa del discernimento dell’autenticità dei carismi: “I Vescovi in comunione col Romano Pontefice, ricevono da Cristo Capo il compito di discernere i doni e le competenze” (Mutuae relationes 9; cf. can. 576).

La ratio che soggiace al can. 579 si manifesta e si completa con il rescritto pontificio del 2016 e con il m.p. “Authenticum Charismatis” del 2020 e vuole significare che il discernimento di un carisma da parte del Vescovo si perfeziona e diventa espressione di comunione ecclesiale quando è congiunto alla licenza data dalla Santa Sede di erigere un istituto religioso.

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Francesco Romano

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