Lo stile mariano della Chiesa in Papa Francesco

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di Alessandro Clemenzia · «La mariologia oggi serve alla Chiesa e al mondo?». Con questa domanda provocatoria Papa Francesco ha introdotto un’interessante riflessione sull’importanza dello stile mariano in teologia e, in particolare, in ecclesiologia. Si tratta di un discorso tenuto ai docenti e studenti della Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” di Roma (24 ottobre 2020), in occasione del settantesimo anniversario della sua fondazione.

La risposta affermativa alla domanda posta circa l’importanza della mariologia trova nel Concilio Vaticano II, e in particolare nell’VIII capitolo della costituzione dogmatica Lumen gentium, il suo più vero orizzonte di comprensione. Maria è descritta come madre e come donna.

La maternità è qualcosa di totalmente coinvolgente per la Chiesa, in quanto anch’essa, per corrispondere al disegno di Dio sull’umanità, ha un «cuore materno che batte per l’unità», capace di generare e rigenerare ogni giorno la vita dei suoi figli con tenerezza e gratuità (sfuggendo, in questo modo, le logiche mondane dell’utile e del profitto). La maternità genera figliolanza e, di conseguenza, è la causa della fraternità: è interessante come il Papa citi a tale proposito la sua ultima enciclica Fratelli tutti, lì dove afferma che «per molti cristiani, questo cammino di fraternità ha anche una Madre, di nome Maria. Ella ha ricevuto sotto la Croce questa maternità universale (cfr Gv 19,26) e la sua attenzione è rivolta non solo a Gesù ma anche al “resto della sua discendenza” (Ap 12,17). Con la potenza del Risorto, vuole partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato delle nostre società, dove risplendano la giustizia e la pace» (n. 278).

La maternità è un’identità che non ha paura di aprirsi alla presenza dell’altro: anzi, la sua specificità viene affermata proprio nel momento in cui è capace di mettersi totalmente in gioco per generare la vita a un altro e offrirgli così un futuro.

«Come la madre fa della Chiesa una famiglia, così la donna fa di noi un popolo»: e qui viene introdotto l’altro termine-chiave della riflessione, vale a dire l’essere donna. Il Papa recupera l’apporto peculiare di Maria nella storia della salvezza, che consiste nell’aver portato Dio nel mondo, e invita la Chiesa a imitarne «l’ingegno e lo stile». La prima a trovarne giovamento sarebbe proprio la teologia, per evitare di cadere nel concettualismo e nell’astrattismo e per rimanere «delicata, narrativa, vitale». Questo è un punto fermo nella riflessione di Papa Francesco: una teologia “narrativa” è quella che parte dalla concretezza della realtà, è quella che chiede al credente non solo di avere uno sguardo capace di interpretare il senso del reale, ma anche di saper “toccare” la concretezza dell’esistenza. I due sensi fondamentali per l’antropologa di Bergoglio – come ha scritto chiaramente Massimo Borghesi (M. Borghesi, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Jaca Book, 2017) – sono il vedere e il toccare. In questo Papa Francesco è fortemente influenzato dalla spiritualità ignaziana, come egli ha avuto occasione di affermare in un’altra occasione: «Per sant’Ignazio i grandi princìpi devono essere incarnati nelle circostanze di luogo, di tempo e di persone» (Papa Francesco, La mia porta è sempre aperta, Rizzoli 2013). È questa la concretezza che offre al pensiero uno stile “narrativo”.

Continua Francesco, la mariologia «può contribuire a portare nella cultura, anche attraverso l’arte e la poesia, la bellezza che umanizza e infonde speranza». Anche questo è un altro punto essenziale nella riflessione del Papa e anche del suo stesso modo di comprendere l’essere, come unità dei trascendentali; come ha avuto modo di affermare il cardinale Bergogli, prima della sua elezione a Sommo Pontefice, la verità, la bontà e la bellezza sono inseparabili: «Nel cittadino deve svilupparsi questa dinamica della verità, insieme alla bontà e alla bellezza. Se ne manca una, l’essere si frattura, si idealizza, diventa un’idea, non è reale. Devono procedere insieme, non disgiungersi» (J.M. Bergoglio, Noi come cittadini, noi come popolo, Jaca Book, p. 49).

E proprio perché la Chiesa, sposa di Cristo, è donna, essa è chiamata a realizzare al suo interno spazi più dignitosi per la donna, a partire dalla comune dignità battesimale. Questa sottolineatura al fondamento del battesimo, per far scaturire da esso il ruolo della donna nella Chiesa, torna spesso nella riflessione del Papa, proprio per evitare due grandi tentazioni: il femminismo, che parla di un diritto che deve essere concesso in virtù della distinzione sessuale e non in forza del battesimo, e il clericalismo, che porta con sé l’idea del potere a discapito dell’intero Popolo di Dio.

Il saluto di Papa Francesco al Marianum termina con l’immagine tratta da un mosaico di padre Rupnik, dove la grandezza di Maria sta nel porre, al centro della scena, il figlio: «Lei riceve Gesù, e con le mani, come scalini, lo fa scendere»; si tratta della condiscendenza, della synkatabasis di Cristo attraverso la Madre.

Ma allora, «chi è Maria per noi?», si domanda il Papa. Ella è «colei che, per ognuno di noi, fa scendere Cristo». Questo è lo stile mariano che la Chiesa deve assumere, per vivere quell’identità aperta, capace di vivere il proprio protagonismo nel porre sempre Cristo al centro della scena. Questo è anche l’insegnamento che ci ha lasciato la Lumen gentium su la natura e la missione della Chiesa.

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