di Antonio Lovascio · Al di là dei proclami (l’ultimo: “Basta con le classi pollaio”) è stato un affannoso e penoso procedere a “zig zag”. Così si sta preparando la riapertura della Scuola per il 14 settembre, dopo la sofferta e interminabile paralisi da Covid. Un distanziamento fisico che per gli allievi ha avuto effetti devastanti sul piano cognitivo, relazionale, emotivo, con alcune conseguenze negative pure in termini di aumento delle diseguaglianze e dei rischi di dispersione scolastica. Le “linee guida” della ripartenza,di fatto, scaricano responsabilità su Regioni, presidi, insegnanti. Con un milione di studenti (il 15 per cento) che ancora non sanno dove verranno sistemati (all’inizio nei parchi e poi nei cinema ?) mancando spazi negli Istituti e con il 40 per cento degli edifici non a norma.
Per calmare la piazza e l’ira di genitori, dirigenti e docenti esasperati, non è bastato annunciare 50 mila nuove assunzioni di personale (ma ne servirebbero 100 mila per affrontare i “doppi turni”), con un bonus per gli insegnanti dagli 80 ai 100 euro, agendo sul cuneo fiscale, e con un programma di formazione. In un Sistema educativo integrato, si continua però a sfavorire le Paritarie e Private, molte delle quali saranno costrette a chiudere.
Se per la gestione complessiva dell’improvvisa e sconosciuta emergenza sanitaria la “squadra” di Conte tutto sommato merita la sufficienza, dall’inizio della “Fase 2” sta mostrando troppa improvvisazione e scarsa concretezza, pur essendosi avvalsa dei suggerimenti di task-force composte da fior di manager, professionisti ed intellettuali. Indicazioni non recepite in tempo e nella loro portata soprattutto dalla ministra grillina Lucia Azzolina, trentottenne siciliana di belle speranze ma con scarsissima esperienza di insegnamento, che nella rapidissima scalata politica ha fatto valere più la conoscenza del diritto scolastico e sindacale che lo spessore e la continuità della titolarità di cattedra. Insomma una responsabile della Pubblica Istruzione “precaria” in tutti i sensi (in perenne balia, come i personaggi delle “Canne al vento” di Grazia Deledda) che alla fine ha fatto apparire un ruolo del tutto marginale della Scuola, declassata a emergenza secondaria, anzi a ultima delle emergenze. Purtroppo la spia di un Governo che al momento non ha alternative, ma dal pensiero corto, privo di una visione organica di prospettiva, molto più preoccupato – nonostante le raccomandazioni del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – della tattica dell’annuncio ad effetto piuttosto che del destino complicato da immaginare per il nostro Paese. Ma sul banco degli imputati, con la Azzolina, il presidente del Consiglio Conte ed i responsabili dei dicasteri di maggior peso, vanno messi i segretari dei partiti di maggioranza ed anche quelli dell’opposizione, con Salvini e la Meloni più preoccupati di cavalcare il disagio sociale per ottenere nuovi consensi elettorali che di formulare proposte concrete, prioritarie, sostenendo – pur criticamente – l’esecutivo nella difficile trattativa con l’Europa per lo stanziamento immediato dei contributi e prestiti promessi per rilanciare l’economia e far fronte a strutturali carenze che da anni frenano la crescita.
Una negligenza collettiva, dunque, che stride con il corale plauso che dai due schieramenti parlamentari si è elevato nei giorni scorsi nell’apprendere che il “Codice Draghi” (quel “whatever it takes”, tutto quello che è necessario; oppure: “costi quel che costi”) è entrato tra le voci definitive del dizionario Treccani. Con quelle tre parole in inglese, pronunciate con toni fermi il 26 luglio 2012 in una Londra ostile, l’allora presidente della Banca centrale europea salvò l’euro dalla tempesta perfetta che stava per abbattersi sull’Italia e sui Paesi più deboli. Come hanno osservato molti commentatori, ora sarebbe bastato applicare il “Codice Draghi” alla Scuola (invece le hanno attribuito meno risorse dell’ennesimo salvataggio Alitalia) , tenendo conto dell’interesse delle famiglie, dei diritti e bisogni di bambini e ragazzi, con una più equa ripartizione dei fondi giustamente dedicati a rafforzare il sistema sanitario e a colmarne le deficienze dopo anni di tagli indiscriminati e scelte sbilanciate. Senza però penalizzare l’Istruzione, che pure necessita di profondi e radicali interventi a tutti i livelli, non solo per far fronte alle esigenze di distanziamento fisico legate al Coronavirus, ma per ripensare i modi e l’organizzazione della didattica, dopo troppe riforme sbagliate.
Questo procedere sempre in ritardo, senza un articolato programma di investimenti – a più riprese lo ha fatto opportunamente notare Chiara Saraceno ,tra i massimi esperti di sociologia della famiglia a livello internazionale – segnala con chiarezza come la Scuola e la Ricerca non siano una priorità – insieme al Lavoro ed alla Sanità – né per il governo né per la politica in generale. <Nulla di nuovo, anzi del tutto normale, ahimè. Questa è l’unica normalità della scuola che non è stata scalfita dalla pandemia. Come se si ritenesse che il Paese possa riprendersi senza investire nelle generazioni più giovani>. Il futuro sono loro.