di Dario Chiapetti · Orlando Todisco (1938), frate minore conventuale e docente di filosofia francescana al Seraphicum di Roma, offre al pubblico il suo La libertà nel pensiero francescano. Un itinerario tra filosofia e teologia (Edizioni Porziuncola, Assisi 2019, 322 pp., 28 euro). È quello della libertà un tema che non smette di esercitare una forte presa sull’uomo che anela ad essa senza mai possederla pienamente. E risulta carico di interesse esplorare come da un’esperienza come quella del francescanesimo, così fortemente improntata alla povertà e alla fraternità, sia scaturito non solo un vero e proprio pensiero ma, nello specifico, una concezione di libertà che va a definire una metafisica, un’ontologia, una teologia, un’etica, una politologia.
L’itinerario che Todisco percorre trova nell’esperienza di Francesco d’Assisi il suo punto di avvio, per passare a indagare la riflessione di tre grandi pensatori francescani – Bonaventura da Bagnoregio, Giovanni Duns Scoto e Guglielmo d’Occam – mostrando come questi abbiano tradotto, interpretato e sviluppato l’intuizione fondamentale del Fondatore della loro famiglia carismatica.
L’Autore intravvede già in Francesco la delineazione di una concezione di libertà che prima ancora di essere colta sul piano morale è appresa su quello ontologico. Ciò non è oggetto di trattazione da parte dell’Assisiate il quale – come noto – ha scritto poco, tuttavia, nella sua esperienza e nei suoi scritti, emerge. Todisco mostra come Francesco abbia sentito dapprima il flusso di vita dell’età dinamica dei Comuni che poneva pian piano al centro l’individuo e che archiviava quella feudale, statica e caratterizzata da un forte senso gerarchico della realtà, così come in qualche modo si ha anche nell’esperienza monastica. Precisamente, l’Autore mostra come l’ideale di Francesco non sia quello del dare-avere a cui si vota il mercante ma dei sentimenti nobili del cavaliere. Tuttavia, la libertà di Francesco prende forma con l’incontro coi lebbrosi, ossia nella sua dimensione non autocentrata ma oblativa, di dono di sé all’altro finalizzato ad affermare l’altro in quanto altro. Questa oblatività si attua poi come fraternità – con i compagni, le altre persone, gli stranieri (il Sultano), con ogni creatura -, il tutto in quanto ricondotto al Dio creatore: è questo il senso fondamentale del Cantico delle Creature.
In tale quadro Todisco vede già tutta racchiusa la rivoluzione filosofica insita nell’esperienza di Francesco: dall’essere come necessità/razionalità/diritto della filosofia classica, di una Physis impersonale alle cui leggi devono sottostare sia Dio che il kosmos, all’essere come libertà/dono, a carattere comunitario, di un Dio che è in sé dono – l’arché è generazione e il Logos un essere generato – e, per una volontà indeducibile – ma non per questo priva di perché da scoprire -, trae ex nihilo la creazione, libera e come fascio di relazioni. Nel primo caso si ha la delineazione di un pensiero oggettivante, un’ontologia dell’identità, sotto il segno della necessità, del primato dell’universale sul particolare; nel secondo caso un’ontologia dell’alterità, personale, in cui l’essere è tale non in quanto è ma in quanto è voluto, voluto liberamente e voluto libero. Todisco osserva come il pensiero della filosofia classica, in particolare aristotelico, abbia trovato echi nella Scolastica medievale di un Tommaso d’Aquino il quale ha cercato di ricondurre così tanto la libertà alla bontà identificata, quest’ultima, con la razionalità – sia in riferimento a Dio che alla creazione – da destare le scomposte reazioni in senso contrario dell’età moderna che hanno separato Dio dall’uomo proprio in virtù della salvaguardia della libertà di quest’ultimo rafforzando ancor più quella tendenza oggettivante del pensiero che ha portato alle forme di dominio sulla natura e di aberrazioni storiche del secolo scorso che tutti conosciamo e che rivelano il volto tragico della libertà quando questa si caratterizza in senso individualistico.
È a questo punto che si situano i capitoli sui tre pensatori francescani sopra nominati, i quali hanno sviluppato, creativamente, sul piano filosofico e teologico l’assunto fondamentale di Francesco.
Di Bonaventura l’Autore mostra come questi abbia messo a punto una «metodologia dell’alterità» che compone i vari saperi rispettandone il carattere plurale. L’essere in quanto voluto fa uscire dalla comprensione neutrale dell’essere e pone le basi dell’esercizio della razionalità non come autonomia del soggetto pensante ma come omaggio alla libertà creativa di Dio, giacché tale apertura è proprio il tratto essenziale dell’essere. Todisco mostra come la teologia non sia per il Doctor Seraphicus un sapere specifico ma lo «spazio entro cui gli altri saperi prendono posto» e che apre loro «quell’abisso di senso costituito dalla libertà creativa» senza imporsi con un modus definitivus, divisivus e deductivus» come quello della teologia del tempo. In tal modo è messo in crisi il primato della ragione oggettivante, il quale è riservato alla ragione ermeneutica o simbolica.
Scoto radicalizza il tratto volontario e libertario dell’essere che viene messo in opposizione alla metafisica del logos marcata dalla necessità. Ciò – puntualizza Todisco – non comporta il rifiuto della razionalità giacché il Doctor Subtilis riconosce che se il nucleo ontologico si sottrae al rigore della logica ciò non è perché questo è illogico ma metalogico. La ragione non è in sé negativa ma va trascesa perché non coglie l’essere in quanto voluto e non è capace di compiere tale operazione di autotrascendimento. È proprio l’essere in quanto voluto, e quindi contingente, ad acquistare tutto il suo spessore ontologico. Si hanno tante creature, tutte poste in essere in quanto volute e questi molti non rappresentano una degradazione ontologica per la visione cristiana e in particolare francescana. Il ricevere l’essere non rappresenta un’umiliazione per la creatura, anzi: siamo perché amati, e non siamo amati perché siamo o perché è razionale. L’Autore mostra poi come, a differenza di Bonaventura, Scoto riconosca un imprescindibile carattere «proemiale» all’ens in quantum ens, univocum che permette di giungere correttamente, dal punto di vista epistemologico, all’ens volitum, creatum. In tal senso, è l’ens in quantum ens il soggetto della metafisica e l’oggetto adeguato dell’intelletto, che dice la quidditatem entis, il «carattere univoco» dell’essere, e che quindi è diverso dall’ens che partecipa dell’actus essendi di Tommaso. In definitiva, la priorità è tolta all’ontologia del carattere analogico dell’essere e attribuita alla metafisica del carattere univoco dell’essere alla quale spetta poi l’importante compito di custodire «l’apertura, entro cui la teologia prende forma».
Occam, in nome della libertà creativa, mette sotto osservazione il rapporto mente-realtà osservando la necessità della cautela che occorre tenere nel considerare il concetto quale immagine adeguata della realtà. Ciò mina il sapere oggettivante che riconduce Dio e l’uomo nelle categorie universali e negli schemi intellettivi e conoscitivi di una razionalità necessitante. La critica dell’oggettività degli universali non conduce però al nominalismo. Todisco mostra come Occam non miri a rendere l’universale insignificante ma a «segnalare la genesi del concetto e dunque l’attività della nostra mente». È qui che l’Autore passa all’analisi politica del Venerabilis inceptor. Il «mondo delle essenze» è quello del «potere occulto» che necessita per Occam una critica politica della plenitudo potestatis delle istituzioni temporali e ecclesiastiche le quali devono avere come loro unico fine quello di tutelare la crescita della libertà a beneficio di tutti. In ciò sta la forza profetica francescana della povertà intesa come «rapporto essenzialmente nuovo con le cose» che scaturisce dal riconoscimento della libertà creativa di Dio.
Le riflessioni di Todisco rivelano, a ben vedere, un progressivo prendere campo delle influenze della mens moderna sui pensatori presi in esame. E tuttavia l’Autore mostra come questi tentino, nell’orizzonte di pensiero in cui sono immersi, di affermare e garantire la libertà e l’alterità come nozioni a contenuto ontologico, proprio come un’attenta teologia della creazione (e trinitaria) a mio parere vuole. È questo un dato assai prezioso e in relazione ad esso il pensiero francescano, credo, abbia tanto da offrire.