Il seno di Abramo nella teologia e nella iconografia medievali

960 488 Gianni Cioli
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Mosaici_del_battistero,_paradiso_06_gerusalemme_celestedi Gianni Cioli • L’immagine del seno di Abramo come dimora escatologica ha goduto di una singolare fortuna nella riflessione patristica come pure nella teologia e nell’iconografia medievali. Essa si fonda unicamente sul brano evangelico di Lc 16,19-31 che parla del povero Lazzaro, portato nel seno di Abramo dopo la morte, e del ricco che avendo ignorato i bisogni di Lazzaro durante la vita sarà tormentato invece tra le fiamme infernali.

L’espressione ‘nel seno di Abramo’ (eis tòn kólpon Abraám: Lc 16,22) non trova paralleli nella Scrittura e neppure nella letteratura giudaica precristiana. La moderna esegesi non la interpreta in genere come l’indicazione di un luogo escatologico contrapposto all’Ade dei dannati, quasi che Luca avesse inteso fornire una sorta di geografia dell’aldilà. ‘Nel seno di’ indicherebbe piuttosto una posizione di vicinanza affettiva o di onore. A Lazzaro sarebbe dunque spettato dopo la morte un posto di peculiare intimità con Abramo, padre dei credenti e protettore dei giusti, con un rovesciamento dell’ingiusta condizione patita durante la vita terrena.

L’interpretazione di Lc 16,22 come precisa indicazione di una dimora per i giusti defunti e il bisogno di armonizzarla con altre nozioni escatologiche ha comunque trovato ampio spazio nella riflessione cristiana. Il seno di Abramo è stato inteso in modo vario nel corso dell’evoluzione del pensiero teologico. Se ne possono schematicamente mettere in evidenza quattro significati.

Quando lo si considera prima della discesa di Cristo agli inferi, come nella parabola lucana, è l’equivalente del limbo dei patriarchi.

Considerato dopo l’evento pasquale, appare talora quale refrigerio intermedio (interim refrigerium), luogo d’attesa sotterraneo per le anime dei giusti cristiani. È l’opinione di Tertulliano che tuttavia non ha avuto molto seguito.

Collocata in cielo, questa sorta di ‘sala d’aspetto’ della risurrezione e del giudizio finale acquisisce un carattere paradisiaco. Così è inteso di solito il seno del patriarca sino alla conclusione del XII secolo.

Esso verrà infine identificato con il luogo degli eletti che godono della visione di Dio. La piena identificazione col regno dei cieli, suggerita dalla liturgia e assunta dalla speculazione monastica a partire dai primi del XII secolo, appare la logica conseguenza della dottrina, in via di diffusione, della visione beatifica già goduta subito dopo la morte, dottrina che si affermerà sul finire del secolo e diventerà comune nella scolastica.

La resa iconografica del seno di Abramo attraverso la raffigurazione sovradimensionata del patriarca che tiene in grembo gli eletti, sebbene possa apparire ingenua rispetto alla riflessione teologica, costituisce una cifra simbolica che, mediante il riferimento al testo lucano, intende richiamare alla speranza di una condizione ineffabile ma reale e desiderabile. La rappresentazione artistica risulta infatti intimamente legata alla riflessione teologica e ai significati maturati dall’immagine del seno del patriarca nel contesto della spiritualità e della predicazione.

Si possono rilevare tre ambiti iconografici in cui l’immagine è presente. Uno è quello della rappresentazione della parabola del povero Lazzaro nelle miniature di testi evangelici o di libri liturgici e nei rilievi decorativi delle chiese, sulle facciate, sui portali e sui capitelli soprattutto di epoca romanica. Anziché illustrare alla lettera la parabola rappresentando il limbo dei patriarchi, si tende piuttosto ad attualizzarla, sottolineando il carattere paradisiaco e celeste del seno di Abramo.

La sottolineatura emerge più spiccatamente quando il seno di Abramo viene rappresentato in modo autonomo, come meta della speranza cristiana, ancora nella scultura e nelle miniature.

Un altro ambito è quello del Giudizio finale. È questo anche il caso dei mosaici della cupola del Battistero di Firenze, attribuiti all’ambito di Meliore e di Coppo di Marcovaldo e databili intorno al 1260-1270, dove però la figura di Abramo è affiancata da quella di Isacco e di Giacobbe.

Nei rilievi di numerose chiese, dal XII al XIV secolo, l’immagine di Abramo che tiene ‘in seno’ gli eletti appare in basso a destra del Cristo giudice, sempre in relazione alla risurrezione dei morti, e sta a significare – quasi metafora della paternità di Dio – la dimora definitiva dei beati.

Come ha potuto rilevare J. Baschet («Anima: Iconografia», in Istituto Della Enciclopedia Italiana, Enciclopedia dell’arte medievale, I, Roma 1991, 809) mediante un’analisi attenta dei Giudizi e studiando in particolare il movimento delle figure nei cortei, in questo contesto gli individui tenuti in seno dal patriarca non rappresentano, come spesso si è ritenuto, le anime dei giusti in attesa di riacquisire il proprio corpo, bensì i risorti dotati di corpo spirituale. Anche nel mosaico del Battistero di Firenze il seno dei tre patriarchi, verso cui si dirigono gli eletti che si dipartono dal gruppo in contemplazione del giudice divino, andrebbe quindi inteso, con tutta probabilità, come dimora beata dei risuscitati e non delle anime in attesa.

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