di Dario Chiapetti • È appena uscito Credo professo attendo. Sulle orme del cristianesimo ortodosso (Asterios, Trieste 2019, 300 pp., 29 euro), un testo che raccoglie alcuni discorsi tenuti dall’Archimandrita p. Evangelos Yfantidis (Kavala 1975), Vicario Generale dell’Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta. I dieci capitoli che compongono il testo toccano il campo delle questioni teologiche, storiche, pastorali, sociali, ecumeniche fondamentali per l’Ortodossia, così come sono sentite da questa oggi. Nella fattispecie, quella che è offerta al lettore è una prospettiva costantinopolitana e magisteriale come si evince dai costanti richiami degli insegnamenti del Patriarca Ecumenico Bartolomeo, del Metropolita della suddetta Arcidiocesi, Gennadios Zervos, nonché da riferimenti ad altre figure di rilievo nel Patriarcato, come quella del Metropolita di Pergamo Ioannis Zizioulas, secondo alcuni, il più grande teologo vivente.
Il titolo – Credo professo attendo – suggerisce bene il quadro che il presente testo vuole rappresentare. L’Autore spiega nel Preambolo che la presente pubblicazione si propone di far scoprire l’Ortodossia secondo i suddetti tre verbi che dominano il Simbolo della Fede. Il credere è riferito a quanto proclamato dai Santi Concili e Sinodi della Chiesa; il professare alla testimonianza, con la propria vita, dell’identità cristiana; l’attendere esprime la dimensione escatologica propria dell’esperienza cristiana. In queste semplici e veloci annotazioni vi sono racchiusi gli aspetti centrali per la fede cristiana ortodossa e cristiana in generale. Innanzitutto, il credere è il credere dei Concili, ossia un credere ecclesiale-sinodale, non soggettivistico, e, per di più, è un credere teologico-dogmatico che – come mostra l’Autore – è, alla radice, vitale, esistenziale, non mortificante, ma esaltante l’essere dell’uomo. Connesso a ciò, il professare è curiosamente presentato non relativamente alla dottrina, come ci si sarebbe forse aspettati, ma alla testimonianza di vita o, meglio, al testimoniare la Vita. In virtù della fondamentale esperienza ecclesiale quale comunione (koinonia) divinoumana, la dottrina della Chiesa – insieme alla Scrittura, agli insegnamenti dei Padri e ai testi liturgici – è compresa dall’Ortodossia come “espressione creata della grazia increata di Dio” (p. 66) e in base a ciò la verità che la dottrina intende esprimere è riferita non a dei concetti ma alla vita in Cristo che i concetti tentano di esprimere. Da tale esperienza di vita colta nel suo situarsi tra il già e il non ancora, si comprende l’attendo che caratterizza l’esperienza autenticamente cristiana. Tale dimensione di attesa si manifesta nell’atteggiamento cristiano che non mira a cercare accomodamenti mondani, magari a discapito di altri, ma anzi che attende operosamente il Regno di Dio come, appunto, koinonia, comunione divinoumana, oltre ogni comprensione della salvezza riguardante la sola anima del solo individuo.
Se questo è il quadro generale fornito dall’Autore, numerosi sono gli aspetti particolari che lo compongono e lo illustrano.
Innanzitutto, è degno di nota l’evidenziazione dell’importanza della fede e della sua connessione al dogma e alla teologia: ciò che è fondamentale per l’Ortodossia è la fede dei Profeti, degli Apostoli e dei Martiri colta nel suo legame con la Scrittura, le definizioni dogmatiche, i testi liturgici e le icone. La fede così intesa – formulerei sulla base delle riflessioni di Yfantidis – è sguardo di comunione e comunione di sguardo. La fede è sguardo di comunione in quanto non riguarda innanzitutto dottrine, magari anche frammentate tra loro, ma la visione/esperienza della salvezza come riconduzione di tutto in Cristo, come affermazione del particolare nella comunione del corpo di Cristo; e comunione di sguardo, sguardo che nasce dalla comunione con chi, insieme a chi guarda, ha guardato e guarda: gli Apostoli, i Profeti, i Martiri, i Padri.
Affrontata la questione della fede, l’Autore perviene alle questioni pastorali. Se l’Ortodossia, generata nella fede, diviene portatrice di questa vita di comunione, propria di Dio, essa non può che manifestare questa vita con la prossimità verso l’uomo di oggi fino a desiderare di condurre questi alla scoperta di tale vita fin nella sua radice. Ecco che Yfantidis riprende l’espressione di Giovanni Crisostomo della Chiesa come «ospedale da campo» – una Chiesa che si fa prossima piegandosi sulle ferite degli uomini – e, accanto a questa e come declinazione di questa, di emergenza catechetica. Ciò può far domandare: quanto la Chiesa, smarrendo il nesso tra dogma e vita, ha in buona parte, anche se non formalmente, abbandonato il primo, sostituendolo con le scienze umane, nell’ispirare la sua predicazione, ma ancor più nel suo concepire sé e la sua azione? E quanto la Chiesa per spiegare la vita ha così perso la sua carica di manifestare la Vita?
Tale vitalità del cristiano si riversa sulle questioni sociali: in riferimento a ciò l’Autore dedica spazio a presentare di Bartolomeo il magistero sociale, la visione di Europa che nel cristianesimo deve trovare anche oggi spinte alla costruzione di ponti, gli sforzi per la promozione del dialogo interreligioso, ecc. In particolare, grande attenzione viene posta sulla questione ambientale. L’esperienza cristiana, se sgorga dal tesoro, sempre nuovamente acquisito, dei Padri, porta il fedele a quella centratura eucaristica dell’esistenza, ossia a quell’esistere redento, proprio di ogni battezzato, come sacerdote del creato. Ecco che creazione, custodia del creato, «conversione ecologica» – espressione, come l’Autore precisa, di Giovanni Paolo II – non sono mode preoccupanti del momento ma nucleo essenziale del rapporto tra Dio e l’uomo. Yfantidis mostra, ripercorrendo le vicende degli ultimi decenni riguardanti l’azione comune su questo punto tra Chiesa Ortodossa e Romano-Cattolica, come sia proprio questo aspetto, centrale della fede, un terreno fecondo di incontro tra le due Chiese.
Questo e tanto altro ancora dell’Ortodossia viene presentato al lettore dall’Archimandrita Evangelos Yfantidis e che fa rendere conto del cammino, anche faticoso, che questa sta compiendo per comunicare la novità della vita in Cristo all’uomo di oggi, realizzando così sempre più la sua identità. È tale cammino che accomuna le Chiese e è in tale camminare che come cristiani vogliamo procedere.