di Carlo Parenti • La migrazione, si dice, che interroghi le società di arrivo su che tipo di valori esse condividano e, di conseguenza, su che tipo di società vogliano essere: aperta, chiusa, accogliente, pura, meticciata, ecc. Oggi, però, ad avviso della Fondazione Migrantes, organismo della CEI , la migrazione interroga anche (e soprattutto) la società di partenza e questo vale in special modo per l’Italia coinvolta, insieme alla comunità internazionale, nel processo di globalizzazione (formativo, culturale, lavorativo, ecc.).
Recentemente il direttore generale del Censis, Massimo Valerii ha indicato come il vero problema italiano quello della mancanza di speranza. “Le persone non immaginano un futuro migliore del presente. Non coltivano sogni”. Per il curatore da anni del rapporto sulla situazione sociale del nostro paese “è necessario recuperare la speranza, la forza di sognare a occhi aperti, perché sono i sogni che si fanno di giorno quelli che ti danno il coraggio di andare oltre, di rischiare”.
Tra le conseguenze di questo fenomeno, che è l’aspetto immateriale della grande crisi economica ( e aggiungo politica) iniziata nel 2007, vi è appunto un fenomeno migratorio: la fuga dall’Italia di migliaia persone. Tra queste i giovani, spesso i più istruiti che fuggono da soli o con la famiglia. Il Rapporto Italiani nel Mondo 2019 della Fondazione Migrantes, presentato a fine settembre (unitamente al 27° Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes) ce ne dà la consistenza numerica (vedi).
Dal 2014 la perdita di cittadini italiani risulta l’equivalente di una grande città come Palermo (677 mila persone): una perdita compensata, nello stesso periodo, dai nuovi cittadini per acquisizione di cittadinanza (oltre 638 mila) e dal contemporaneo aumento di oltre 241 mila unità di cittadini stranieri residenti. Da gennaio a dicembre 2018 ben 128.583 italiani sono espatriati (400 persone in più rispetto all’anno precedente). Come dire una città quale Sassari ,che ha 127.533 residenti. Ma quel che più preoccupa è il dato dei minori –circa 26mila- che rappresenta il 20,2% del totale. Poiché è impensabile che essi siano fuggiti da soli è intuitivo che sono espatriati con giovani genitori. Infatti l’attuale mobilità italiana continua a interessare prevalentemente i giovani (18-34 anni, 40,6%) e i giovani adulti (35-49 anni, 24,3%). In valore assoluto, quindi, chi è nel pieno della vita lavorativa e ha deciso di mettere a frutto fuori dei confini nazionali la formazione e le competenze acquisite in Italia, raggiunge le 83.490 unità di cui il 55,1% maschi.
Le partenze nel 2018 hanno riguardato 107 province italiane. Le prime dieci, nell’ordine, sono: Roma, Milano, Napoli, Treviso, Brescia, Palermo, Vicenza, Catania, Bergamo e Cosenza. Con 22.803 partenze continua il solido “primato” della Lombardia, la regione da cui partono più italiani, seguita dal Veneto (13.329), dalla Sicilia (12.127), dal Lazio (10.171) e dal Piemonte (9.702). Il 2014 è stato l’ultimo anno che ha visto le partenze degli italiani essere inferiori alle 100 mila unità. Da allora l’aumento è stato continuo sino a superare le 128 mila partenze negli ultimi due anni con un aumento, quindi, del 36,0% rispetto al 2014.
Ma quanti sono in totale gli italiani residenti all’estero? Su un totale di oltre 60 milioni di cittadini residenti in Italia a gennaio 2019, alla stessa data l′8,8% è residente all’estero. In termini assoluti, gli iscritti all’Aire (l’Anagrafe italiani residenti all’estero) aggiornati all′1 gennaio 2019, sono 5.288.281. Dal 2006 al 2019 la mobilità italiana è aumentata del 70,2% passando, in valore assoluto, da poco più di 3,1 milioni di iscritti all’Aire a quasi 5,3 milioni. Quasi la metà degli italiani iscritti all’Aire è originaria del Meridione d’Italia (48,9%, di cui il 32% Sud e il 16,9% Isole); il 35,5% proviene dal Nord Italia (il 18% dal Nord-Ovest e il 17,5% dal Nord-Est) e il 15,6% dal Centro.
Questo ultimo dato significa che il meridione si impoverisce sempre di più. A spostarsi dal Meridione, nell’ultimo decennio, considerando inoltre le migrazioni interne, sono state soprattutto persone con un livello culturale medio-alto. “Cedendo risorse qualificate -evidenzia il Rapporto – il Mezzogiorno ha ridotto le proprie possibilità di sviluppo alimentando ulteriormente i differenziali economici con il Centro-Nord.
Aggiungo inoltre che le previsioni demografiche ci dicono che nel 2050 il numero degli italiani diminuirà di quattro milioni e mezzo di persone, prevalentemente a causa della denatalità. Tant’è che tra le conclusioni del rapporto si legge: Siamo dunque chiamati prima di tutto come persone, ma anche come professionisti, studiosi, impegnati a vario titolo nella società a scegliere non solo da che parte stare, ma anche che tipo di persone vogliamo essere e in che tipo di società vogliamo vivere noi e far vivere i nostri figli, le nuove generazioni. Da più parti dopo il “terremoto” politico estivo vissuto dall’Italia e dopo le tante discussioni, più o meno accese sul piano europeo, che hanno visto l’Italia recitare una parte non di secondo piano, arrivano le richieste di occuparsi di emigrazione italiana tra le priorità del nostro Stato e non più (o meglio non soltanto) di immigrazione.