Nella notte della vita: fra tradimenti e preghiera

315 500 Alessandro Clemenzia
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978880624010HIGdi Alessandro Clemenzia • La forza contenuta e irradiata dalla solitudine estrema vissuta da Gesù nella notte del Getsemani può essere affrontata da tanti punti di vista, tanti quante possono essere le differenti modalità di sguardo su questo preciso obiettivo. Il libro di Massimo Recalcati, La notte del Getsemani (Einaudi 2019) è un formidabile e ben riuscito esempio di come quella radicale umanità di Gesù possa essere raccontata anche dalla psicanalisi. Di più: in queste pagine si descrive la divinità del Figlio di Dio, mettendo in evidenza il fascino della sua umanità ferita e abbandonata nella notte del tradimento.

«Non ci sono chiodi, fruste, corone spinate, percosse, ma solo la pesantezza di una notte che non finisce mai, la solitudine inerme e smarrita dell’esistenza che vive l’esperienza del tradimento e dell’abbandono» (p. VII). Ed è proprio questo l’argomento preso in esame da Recalcati: l’uomo che si trova “inchiodato” nella propria solitudine, nella fragilità più acuta, nella sua asfissiante percezione di vivere una condizione “senza Dio”. Ma proprio quella realtà più estrema di dolore è per Gesù il luogo della preghiera, di consegna di sé al proprio destino: «è il punto più sensibile dove la lezione del Getsemani incontra ai miei occhi quella della psicanalisi: coincidere con il proprio destino, decidere di consegnarsi alla propria storia poiché solo in questa consegna possiamo riscriverla in modo unico» (p. IX).

È a partire da queste parole che Recalcati inizia un interessate percorso, frutto di una conferenza presso il Monastero di Bose (tenuta nel 2017), sulle tracce dell’umanità di Gesù in particolari momenti-chiave della sua esistenza, cercando di guardarli e interpretarli con i suoi stessi occhi. Tanti sono stati i movimenti del cuore, provenienti dall’interno e dall’esterno, sperimentati dal Figlio di Dio in quella lunga notte: dalla costante consapevolezza di avere una parola efficace, ma con una forza tale da urtare contro ogni forma di istituzionalizzazione della religione, al ricordo contrastante di quel giorno (vicino nel tempo, ma circostanzialmente molto distante) in cui era stato accolto a Gerusalemme osannato da una popolazione in festa. Ma non c’erano solo questi movimenti che provenivano dall’interno; e qui l’autore introduce il trauma dei tradimenti sperimentati da Gesù. Siamo nelle pagine più belle del libro e, probabilmente, in una delle interpretazioni più profonde e affascinanti di questo evento cristologico. Giuda e Pietro, entrambi prescelti, erano in profonda intimità con il maestro, «il che significa che la più radicale esperienza del tradimento non viene mai dallo sconosciuto, ma da chi ci è prossimo – dal più prossimo –, da colui nel quale riponiamo la nostra piena fiducia» (p. 27).

Il tradimento di Giuda avviene nella familiarità di una cena; egli non è un maligno o Satana, ma è stato prima di tutto un innamorato di Gesù. C’era però, nella sinfonia di questo amore, un stonatura non indifferente: «Forse Giuda attendeva da Gesù qualcosa che non apparteneva all’essere di Gesù» (p. 38). È l’amarezza di questa grande delusione, dettata dall’inaccettabilità di questa alterità, a suscitare in lui il desiderio dell’eliminazione dell’altro.

Diverso, invece, è il tradimento di Pietro: egli, a differenza di Giuda, non complotta contro il maestro, ma si lascia comunque determinare dalla propria precarietà. «Il suo tradimento rivela una contraddizione che appartiene all’umano: non sempre siamo all’altezza del nostro amore, non sempre siamo coerenti con il nostro desiderio» (p. 51). Eppure, proprio la negatività del tradimento, avvenuto per ben tre volte e in poche ore, ha introdotto Gesù in un nuovo significato di “fedeltà”: «Gesù attraverso il tradimento di Pietro sta destituendo ogni idealizzazione eroica della fedeltà. Vuole mostrare che anche l’amore più solido – essendo umano – può cadere, scivolare, tradire la propria causa» (p. 51). Le lacrime di Pietro, quel suo piangere amaramente, sono il grido della propria incoerenza, del proprio fallimento, del proprio tradimento. «Il pianto di Pietro non mostra la fine di un amore, ma la sua ripartenza dopo la caduta» (p. 53).b34f78c9fd2a2d89b300e3b65ec15f7e

Recalcati mette in luce un ultimo tradimento, che fa da sfondo alla drammaticità della circostanza: Gesù è lasciato nell’assoluta solitudine da tutti i suoi compagni. Quegli amici, che un tempo, sulla barca, sbattuta dalle onde del mare e dal vento, lo hanno rimproverato fortemente per essersi addormentato e non essere stato pronto a difenderli dal pericolo imminente, ora, nella notte del Getsemani, nonostante la ripetuta richiesta del loro maestro, non sono stati in grado di resistere al sonno. Un dormire che non è semplicemente segno di stanchezza, ma espressione del loro più intimo desiderio: «Non vogliono vedere l’esperienza inesorabile della perdita che Gesù sta incarnando. Vogliono continuare a sognare il Gesù che entra nella città di Gerusalemme tra gli Osanna festanti del suo popolo» (p. 61).

Nella drammaticità di quella notte, Recalcati presenta il dinamismo crescente della preghiera di Gesù. All’inizio egli si rivolge al Padre implorando la salvezza dal pericolo della morte. Ma a quella supplica, in cui Gesù domanda un’eccezione a un Padre che è comunque capace di cambiare il destino di un uomo, non arriva alcuna risposta. Così, oltre alla straziante quiete dei discepoli presi dal sonno, l’aria diventa più drammatica anche per la risposta del Padre: il silenzio.

Tale esperienza ha portato Gesù ad assumere una postura umana differente da quella precedente, e dunque una nuova forma di preghiera, dove egli si rende disponibile ad assumere il disegno del Padre e a scegliere liberamente di aderire al proprio destino: «La seconda preghiera di Gesù è l’esito di un disarmo assoluto. […] Il colmo della preghiera non è il recupero di forza da parte dell’Io per sostenere una prova difficile, ma un atto di disarmo, di consegna, di offerta senza condizioni al di là dell’Io» (pp. 76-77).

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