di Andrea Drigani • La bimillenaria storia della Chiesa ci presenta, sovente, anche se con modalità diverse, una serie di atteggiamenti, episodi ed azioni di ribellione o di opposizione al Romano Pontefice. Tali contestazioni sono apparse cagionate da motivi assai variegati e talvolta pure incomprensibili per non dire misteriosi. In effetti è alquanto arduo superare il detto di Gesù: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,18-19). Tuttavia, sempre dalla storia ecclesiastica, riguardo alle vicissitudini connesse alle lotte contro il Vescovo di Roma, riceviamo delle testimonianze che sono delle grandi lezioni di fedeltà e di amore alla Chiesa e al suo Fondatore: Gesù. Una di queste ci viene dalla vita di Girolamo Savonarola (1452-1498), in particolare da una vicenda ben descritta dal suo massimo biografo Roberto Ridolfi (1899-1991). Si tratta di alcune lettere che il Frate preparò, ma che mai inviò. L’evento (cfr. Roberto Ridolfi, «Vita di Girolamo Savonarola», Firenze, 1981, 343-344; 633-634) prende le mosse da alcuni pensieri del Savonarola sul Concilio, esternati in diverse prediche. Si poneva, infatti, la questione se un Concilio Ecumenico potesse essere in grado di riformare la Chiesa, anche se annotava «chi reforma debbe essere prima reformato lui»; era evidente l’allusione a Papa Alessandro VI (1430-1503). Per il Frate il Concilio con la grazia dello Spirito Santo, che è realmente forma della Chiesa, poteva essere in grado di procedere ad una riforma, ma era convinto che Alessandro VI non avrebbe fatto alcunchè per riformare e di conseguenza neanche per indire il Concilio. Savonarola, allora, ipotizzò di coinvolgere i sovrani d’Europa affinchè ponessero le dovute pressioni sul Papa per convocare il Concilio o addirittura, dinanzi al suo rifiuto, di promuovere loro stessi la convocazione del Concilio. Il Frate scrisse in latino le bozze di queste lettere (che furono studiate e pubblicate dallo stesso Ridolfi) indirizzate all’Imperatore del Sacro Romano Impero, al Re di Francia, al Re e alla Regina di Spagna. Nella minuta da inoltrare a Carlo VIII, Re di Francia, Savonarola esprimeva perfino la considerazione che Alessandro VI non era da ritenersi Papa, non solo per la sua simoniaca e sacrilega elezione e per i suoi peccati pubblicamente commessi, ma in quanto non era cristiano, non avendo alcuna fede. Il Frate si proponeva di scrivere anche al Re d’Inghilterra e al Re d’Ungheria. Pur ritendo che vi erano le condizioni perché venisse convocato il Concilio anche contro la volontà del Papa, Savonarola non se la sentì, come osserva Ridolfi «di sommuovere, pur per un fine santo, la Chiesa di Cristo». Savonarola ritenne, da vero cristiano quale era, di escludere vie estreme, consapevole che «questo è il modo delle cose di Dio: andare piano piano». Il Frate decise pertanto di non inviare quelle lettere, costituendo esse un rimedio peggiore del male. Ridolfi riporta l’osservazione del teologo domenicano Giacinto Arturo Scaltriti per il quale la rinuncia del Frate a questa arma, (un’arma non spuntata), lo fa un martire del primato di Pietro, primato che il Savonarola aveva ben esposto, sviluppato e difeso nel suo trattato apologetico «Triumphus Crucis».